Kanelbullar: le brioches svedesi di Natale
Così ho gettato il cuore oltre l’ostacolo. Ho deciso che non ne potevo più di stare ferma, e di tutte quelle letture fuori orario distesa sul divano. Della cucina che si animava solo a sera con l’arrivo di Monsieur, e delle interminabili giornate appese a un braccio ingessato. Dei divieti, del riposo obbligato, delle posture rigide accompagnate dagli “ohiohi!”. Mi sono guardata allo specchio e, per la prima volta in una settimana, mi sono vista sotto un’altra luce: non erano cambiate le appliques del bagno ma i miei occhi. Dentro quel vecchio maglione – l’unico che mi entrasse – c’ero sempre io, con la stessa armatura di gesso ma con un’idea di me tutta diversa: “Ok, non sono una senza il braccio destro: semplicemente, sono mancina”. E ho iniziato a comportarmi di conseguenza.
Lo ammetto: gli esordi non sono stati esaltanti. Non so se abbiate mai provato a stendere un filo di ombretto con la sinistra o a mettervi un paio di orecchini cercando di non perforarvi ulteriormente i lobi: sono imprese titaniche. Almeno quanto stirare, svitare un tappo o scrivere senza perdere il filo e la pazienza. Ma se siete disposti a tollerare un make-up un po’ meno lieve del consueto, qualche sbavatura di mascara e vistose pieghe sulla vostra camicia preferita, potete anche uscire con le orecchie in fiamme. E dare la colpa al freddo…
Sono andata avanti così per qualche giorno, cercando di allungare la lista delle cose che potevo fare da sola. E quando l’elenco è arrivato a comprendere l’impiego della spazzola e del phon (un numero da contorsionista…), la produzione di fette di pane di spessore regolare, e l’uso delle forbici (mai provato a fare una leva con la mano sbagliata?) ho capito che per essere felice mi mancava solo una cosa: una brioche.
Ci ho pensato per ore: ho cercato di visualizzare tutti i passaggi, di individuare ogni insidia nascosta (mi sarebbe bastato un barattolo da aprire, per non riuscire ad andare avanti), e naturalmente anche eventuali rischi connessi a posture e contraccolpi. Ora, a volerla dire proprio tutta qualche rischio c’era: io sono una che riesce a ustionarsi quando inforna a due mani, figurarsi con una sola! Ma ci sono forse attività totalmente prive di rischi, nella vita? O, visto da un’altra prospettiva (il neo-mancinismo mi ha resa assai più aperta…): conoscete un’attività divertente che non sia anche un po’ rischiosa?
Non affannatevi a rispondermi: guardate piuttosto queste foto. Non sono quelle che uno si aspetterebbe in un blog di cucina che si rispetti, soprattutto a Natale, quando è tutto un tripudio di stelle, nastri, fiocchi, meravigliosi pandori e panettoni, invidiabili biscotti, decorazioni… Qui ci sono solo una mano che esce da un maglione oversize e un impasto. Il maglione ha i pallini e vistose ditate di farina, e l’impasto qualche bitorzolo di troppo rispetto allo standard di questa piccola cucina. La luce è quella che è, perché su questi tetti è una meravigliosa giornata di sole oltre la nebbia, uno di quei pomeriggi in cui il grigio sembra racchiudere tutta la luce del mondo prima di trasformarsi all’improvviso nel violetto del tramonto.
Eppure io sono contenta, al punto da riuscire a riappacificarmi con il gomito lussato, con l’ingessatura che fa somigliare il mio braccio destro a uno zampone, con la prospettiva di lunghe settimane di riabilitazione. Quest’anno la mia sfida di Natale l’ho trovata in fondo a una rampa di scale: e l’ho raccolta.
Ora, per completezza d’informazione (e anche perché non vorrei che pensaste a me come ad un’aspirante martire del capitombolo) vi devo dire che non sono stata affatto felice di planare sul pianerottolo dello scalone del palazzo, ancorché in inappuntabile mise da sera. Qualche ora dopo aver bruciato le scorzette d’arancia (ok, ci sono giornate storte…), la casa ancora fumante come un deposto di copertoni andato a fuoco, mi presentavo all’ospedale per il terzo incidente in un anno e mezzo. Con il povero Monsieur d’Aubergine preoccupatisimo…
“Ormai ho una fedina ortopedica indimenticabile!”
“E lo trovi divertente? Guarda che io comincio a vergognarmi: chissà cosa penseranno che succeda in casa nostra!”
“Ma se sei sempre tu che mi accompagni…”
“Appunto!”
Non c’è stato bisogno d fornire alcuna spiegazione. Il medico ha scorso il mio lungo elenco di precedenti (una fedina da recidivo impenitente), poi ha alzato lo sguardo e mi ha chiesto: “Avanti: dica chi è. Medico o infermiere?”
“?!?”
“Non faccia la gnorri: è evidente che lei si è innamorata di qualcuno, qua dentro…”
Fugato ogni sospetto, non mi è restato altro da fare che promettere di non farmi più vedere: almeno per un po’. Per un bel po’…
Così ho tenuto bene a mente ogni sua indicazione, ogni precetto ortopedico (“Lei questo braccio se lo deve dimenticare per tre settimane…”), e ho provato a capire se una brioche sia davvero una sfida impossibile con una mano sola. La sinistra.
Il mio corpo a corpo con un impasto si è trasformato in uno scontro titanico, dall’esito tutt’altro che scontato. Ma ce l’ho fatta: io e lui, alla fine, siamo diventati amici. E mentre mi riappropriavo di quei gesti – anche se con la dotazione di arti disponibili ridotta alla metà – non facevo che pensare a voi, e alla mia sfida di Natale che quest’anno avrebbe avuto forma di nodo e profumo di cannella. E un titolo: “La brioche che potete fare con una mano sola”.
Quando ho finito, vi confesso, ero un po’ acciaccata: ma raggiante. Ho assaggiato un paio di briochine per merenda, e poi me ne sono uscita che era buio: era la prima volta che mettevo il naso fuori di casa dopo il tramonto, da due settimane.
“Ce l’ho ddett’io: all’urde deve andare! Poooverine!” mi ha urlato la portinaia dall’ultimo piolo di una scala. Avvolta in lunghe spire luccicanti, armata di un sacchettone di palle vintage, si dedicava alla sua attività stagionale preferita: trasformare l’austera portineria in una specie di discoteca natalizia. Le riesce benissimo, nonostante le reiterate proteste di qualche condomino particolarmente attento alla coerenza stilistica di certi interventi di décor…
Erano dieci giorni fa. Nel frattempo lo zampone è ritornato braccio, anche se decisamente anchilosato. E ormai è quasi Natale. Con la promessa di non abbandonare i miei impegni riabilitativi ho preso un aereo e sono sbarcata nella metà della mia vita che mi mancava da un po’. Tutto come sempre: l’impianto di riscaldamento in panne, la casa gelata, e la piazza che a guardarla di notte mi si allarga il cuore. E il solito problema: mi dimentico di controllare che il portone si sia chiuso bene, altrimenti il vento se lo porta via.
Così mi tocca scendere in cortile… ma il portone non lo chiudo. Dev’essere che il mancinismo non scompare del tutto con il gesso, lascia un’attitudine nuova a considerare le cose in maniera speculare: si diventa imprevedibili. C’è un tappeto elastico, quest’anno nella piazza. I bambini ci saltano legati ad un’imbragatura, spiccano voli apparentemente senza sforzo. Ma non ci sono più bambini a quest’ora, solo il ragazzo del baracchino dello zucchero filato: che è lo stesso del tappeto elastico. La piazza è deserta, sta chiudendo.
“Ma questo è un gioco solo per bambini?”
“Dipende dal peso, dall’altezza, e da quanto si vergogna…”
Gli ho dovuto promettere che non avrei esagerato, e d’altronde non me lo posso permettere: l’ho giurato a quel dottore che la mia fedina ortopedica resterà così com’è. Mentre salivo leggera, un paio di metri appena, come al rallentatore, mi pareva che la piazza fosse solo mia: come quando la osservo di sera dall’alto e mi lascio ipnotizzare dai lampioni. Nel gelo della notte, ho guardato le luci e ho pensato: “Questo è Natale: sentirsi un po’ bambini…”
Ci sono sfide che si vincono, e altre che solo per averle accettate valgono una vittoria. Un po’ come i miei nodini alla cannella fatti con la sinistra. Così questo è l’augurio che vi faccio. Che abbiate o no una sfida di Natale, dovunque e con chiunque voi siate, sotto i cieli stellati di questo ingarbugliato mondo, cercate di sentirvi un po’ bambini. E di essere felici…
S.
KANELBULLAR: BRIOCHES SVEDESI ALLA CANNELLA
INGREDIENTI
per l’impasto:
farina Manitoba: 300 gr
farina bianca 00: 200 gr
sale fino: 1 abbondante pizzico
latte: 200 ml
yogurt intero: 3 cucchiai (bello colmo)
zucchero semolato: 2 cucchiai
lievito di birra: un cubetto (25 gr)
miele liquido: 100 gr
burro: 50 gr
per la farcitura:
burro: 60 gr
zucchero semolato: 40 gr (sono 2 cucchiai)
cannella macinata: 1-2 cucchiaini
granella di zucchero
1. Mettere assieme gli ingredienti
Mettete in una grande ciotola le farine e il sale, mescolate bene con una frusta a mano (serve ad alleggerirle, dopo tanta costrizione nel pacchetto…) e fate una fossetta al centro.
Fate intiepidire il latte (temperatura corporea), aggiungetevi lo yogurt, lo zucchero, il lievito di birra sbriciolato e 2 cucchiai del mix di farine. Mescolate bene finché il lievito non è sciolto (ma non preoccupatevi se restano dei grumi di farina) e lasciate riposare per una decina di minuti, finché non si forma una bella schiuma compatta.
Nel frattempo fate fondere il burro a fuoco dolcissimo (se siete bravi a non farlo soffriggere, potete risparmiarvi il bagnomaria…), e quando sarà fuso aggiungetevi il miele. Tenete da parte.
Mescolate velocemente con un cucchiaio il liquido con il lievito e rovesciatelo immediatamente nella ciotola delle farine. Aggiungete anche il mix di burro e miele (aiutatevi con una spatola per non lasciarne metà nel pentolino).
2. Impastare
Adesso mescolate tutti gli ingredienti nella ciotola con un cucchiaio: iniziate dal centro, sbattendo come se doveste fare una frittata, e poi man mano incorporate e poi man mano incorporate la farina circostante; quando avrete degli straccetti di impasto, passate a dei movimenti circolari, finché il tutto non sta insieme. Sarà molto appiccicoso, perciò lasciatelo lì a meditare 10 minuti, prima di iniziare a impastarlo con la mano dentro la ciotola.
Quando somiglierà a un impasto, ancorché appiccicosetto e bitorzoluto, rovesciatelo sul piano di lavoro e lavoratelo con la tecnica “afferrare-sbattere-piegare” (sì, proprio quella per impasti appiccicosi, descritta a pagina 337 di “Fragole a merenda”…). Se dopo le prime 100 volte (non spaventatevi! sono 5 minuti scarsi) tende ancora ad essere appiccicoso, continuate con la stessa tecnica per altre 100. Altrimenti, passate alle torciture (“serpenti e chiocciole”, pagina 336): ve ne bastano cinque o sei.
3. Far lievitare
Rimettete l’impasto nella ciotola pulita e unta di burro, sigillate con la pellicola, e lasciate riposare in un luogo riparato finché non raddoppia di volume (ci vorrà da un’ora a un’ora e mezza).
Quando vedete che l’impasto è quasi pronto, preparate la farcitura. Fate fondere il burro e, a fuoco spento, aggiungetevi lo zucchero e la cannella. Mescolate bene e fare raffreddare: deve diventare appena opaco (se lo stendete quando il burro è ancora fuso, finirà tutto nell’impasto…)
4. Stendere, farcire, tagliare, annodare
Rivestite di carta forno una teglia per biscotti e accendete il forno a 220°.
Imburrate appena il piano di lavoro, rovesciatevi l’impasto e tagliatelo in due parti: copritene una con la ciotola rovesciata, e stendete l’altra col matterello in un rettangolo di circa 22 x 30 cm (lo so che vi fa ridere quando uso il righello per darvi le misure precise, ma io ci tengo che facciate le cose per benino…).
Spennellate la superficie con la farcia, arrivando fino ai bordi, e poi ripiegate in 3 lembi, come nella foto. Schiacciate appena con le mani per far aderire bene farcia e impasto e poi tagliate in 8 parti uguali con un coltello affilato o una rotella tagliapizza.
Adesso praticate un taglio in ciascun pezzo, in senso longitudinale, arrivando a 2 cm dal bordo (come una V, o un paio di lunghissime gambe in stile Barbie). Allungate le due estremità fino ad ottenere un unico segmento (ok, avrà qualcosina in più al centro…), afferratelo con la punta delle dita ai due estremi e arrotolatelo su se stesso: dovete ottenere un effetto “torciglione”, come se fosse spago.
Fate un nodo semplice, senza pensarci troppo: siate veloci e infischiatevene della perfezione, l’importante è che l’impasto sia intrecciato per non aprirsi in cottura. Non tirate troppo, e se dopo tanto intrecciare vi ritrovate tra le mani una cosa informe, va bene anche così: dategli un’arrotondatina, una leggera schiacciata per lasciare in alto il lato che vi sembra più artistico e posatelo sulla teglia. E proseguite con gli altri sette.
5. Infornare, sfornare, assaggiare e… leccarsi le dita!
Quando avrete terminato, spennellate leggermente i vostri kanelbullar con un po’ di farcia, decorateli con lo zucchero in granella e infornateli per circa 15 minuti (o finché non li vedete dorati).
Sfornateli, metteteli a raffreddare su una griglia da pasticcere e offriteli ancora caldi alle persone a cui volete bene. In genere spariscono in un attimo, ma niente panico: ne avevate altri otto, sotto la ciotola rovesciata e… vi siete ricordati di annodare pure quelli… o no?
Ingredienti: burro-burro salato • cannella • farina bianca 0 e 00 • farina Manitoba • latte • lievito di birra • miele • yogurt e yogurt greco • zucchero semolato
Cara Sabrine, che dire, riesci a trasformare un evento traumatico in occasione per sorridere e ironizzare. La bellezza di leggerti anche per un cuoco della domenica come me. Felice Anno Nuovo. Paolo
Che dire Sabrine, come sempre incantata e incatenata dalle tue parole. Un augurio che tengo stretto nel cuore. Un abbraccio ma non troppo forte….:-) per ovvie ragioni….Buon anno di felicità
Cara Sabrine! Spero che ora il tuo braccio vada meglio. Il volo planato lascialo per gli arrivi nella seconda metà della tua vita. In abito da sera non deve essere stato per niente divertente, ma data l’ora forse ti sei evitata l’atterraggio davanti alla portineria! Sul mancinismo forzato ti capisco benissimo. Sono quatro mesi che giro con la mia sfida di Natale appesa a un braccio e ho imparato a fare tutto così. Meno gli impasti, perchè la frullina non sta ferma come un braccio ingessato. Ti mando un grande bacio e se una di queste sere scendi ancora a saltare in una piazza deserta pensa a me e quanto mi piacerebbe fare quella giostra insieme a te.
ps. Sto per fare il tuo pan di Spagna per domani sera!
Ciao Sabrine mi chiamo Emanuela e, approdare qui sul tuo blog, è stata una piacevolissima scoperta. Sono rimasta rapita e incantata dal tuo modo di scrivere, dalla tua ironia e, naturalmente, dalle tue bellissime ricette.
Ti seguirò con immenso piacere e…adesso vado ad esplorare il blog!
A presto.
Emanuela
P.S. mi dispiace per il tuo povero braccio, ti auguro una pronta guarigione.
These look delicious!
I wish I could understand the recipe : )
Buongiorno, Sabrine sono una tua fan ed essendomi piaciute molto le tue ricette che ho casualmente scoperto sul tuo blog ho deciso di comprare il tuo libro, ma mi sono accorta che le ricette sono tutte diverse e se da un lato ne sono rimasta contenta perche’ ho trovato nuovi spunti dall’altro mi sono detta come faccio adesso?!!! Volevo sapere se per caso hai intenzione di stampare un nuovo libro con le ricette del tuo meraviglioso blog!!!!!! Concludo salutandoti e facendoti i complimenti per il tuo sempre piacevole ed interessante modo di scrivere!!!!!!
Buongiorno Sabrine,
devo ammettere che sei davvero una donna straordinaria.
Io, come te, amo cucinare, imbastire delle storie che scaldino il cuore e lo spirito…e soprattutto, non posso stare ferma come i comuni mortali nella medesima dimora per via del lavoro.
Talvolta penso che la vita, diversa da come la vivo ogni giorno, sarebbe strana.
Ho davanti a me il tuo meraviglioso libro. Lontana dall’Italia è bello realizzare le ricette più vicine a noi. Adoro giocare ad aprire una pagina a caso ed eseguire la ricetta.
I muffins al miele e arancia mi aspettano…chissà se riuscirò a reperire tutti gli ingredienti!
Buone cose…
Consiglio di non lasciare la temperatura di 220 gradi per la cottura ma di abbassarla, visto che già dopo 10 minuti i miei kanelbullar erano bruciati fuori e mezzi crudi dentro… Per il resto ottima ricetta