Il soda bread di ceci ai pomodori secchi

http://www.fragoleamerenda.it/author/sabrine/


E questo l’ho trovato in un cassetto… il video, voglio dire. E’ rimasto lì nascosto per due anni, in attesa del momento propizio per raccontarvi una ricetta che è per molti versi la metafora di questo piccolo blog. Perché a dispetto di quel mazzo di fiori azzurri (che avevo comprato mezz’ora prima dal mio amico Abu, all’angolo della via), racconta la semplicissima storia di un “soda bread”: una cosa che è un pane, ma non spaventa nessuno perché è così facile che può farlo anche un bambino.

Il soda bread è uno di quelli che io chiamo “format culinari”: poche regole di base e poi… tutta creatività e divertimento! Nel senso che gli ingredienti sono a geometria variabile, e potete divertirvi a cambiarli praticamente all’infinito. E poiché la sottoscritta è quanto di più lontano si possa immaginare da una food-professionista, ma resterà a vita una veterana dei principianti (fidatevi, è un ossimoro solo in apparenza…), capite bene che una ricetta del genere calzava a pennello, in un giorno come questo.

Ne son successe di cose, da quando vi ho augurato Buon Natale a suon di brioches, agitando una mano che fuoriusciva da un braccio ingessato! Erano nove mesi fa, tondi tondi… Ma mi spunterebbe un naso capace di venirvi a cercare oltre lo schermo, se vi dicessi che per me sono stati lunghi: la verità è che sono volati, sospinti da raffiche di eventi che si abbattevano sul mio desiderio di tornare a scrivere storie e ricette con una parvenza di regolarità. Se questo blog avesse anche la minima fattezza di un lavoro, non avrei potuto far passare tanto tempo: a me piacciono i professionisti, quelli che rispettano impegni e appuntamenti. Ma questa piccola cucina è un’oasi di assoluta libertà, uno spazio nel quale danzo leggera come le dita sulla tastiera… e davvero non ce la farei a impormi ritmi diversi! E poi, mi ci vedete a scrivere dei post tanto per scriverli?
Eppure, se sapeste quante volte sono stata lì lì per lasciarmi andare al racconto di quello che avveniva tra queste mura… Perché ci sono alcune novità, delle quali – per il rapporto di lunga data che ci lega – mi corre l’obbligo di mettervi a parte. Date le circostanze, converrà che proceda con ordine.

Il primo capitolo potrebbe intitolarsi “Mens sana in corpore sano”, e se lo metto prima degli altri è solo perché ho ricevuto così tante mail di gente preoccupata che a un certo punto mi stavo preoccupando anch’io.
“Certo, se una si rompe un arto a cadenza semestrale, si presenta sul blog che pare l’abbia travolta una valanga, e poi scompare, è chiaro che la gente si preoccupi!” chiosava Monsieur. Il quale, da quando la mia fedina ortopedica si è allungata oltremisura, minaccia di mandarmi al pronto soccorso in taxi, nel caso di un’eventuale prossima puntata.
“Ti rendi conto che di questo passo finirò segnalato alla forza pubblica?!? Non posso continuare a presentarmi con te che hai qualcosa di rotto: penseranno che sia un mostro… E non ridere, perché non è una bella cosa!”
Naturalmente rido (e voi vedete di non dirglielo), ma mi è toccato promettere solennemente di starmene a distanza di sicurezza dalle scale di ogni ordine e grado, avendo ormai all’attivo eventi funesti in compagnia tanto di quelle a pioli quanto di quelle del palazzo.
“Guarda che le scale fanno bene alla salute…”
“Ma tu le fai due a due e di corsa! E poi non è detto: a te, per esempio, ti hanno ridotto con un braccio penzoloni…”

Non c’è verso di convincerlo che la sua logica fa acqua da tutte le parti, ma credo sia solo un po’ invidioso, perché a forza di frequentare il fisioterapista, con il quale ormai siamo diventati amici (capirete, non è per far la spiritosa, ma dopo quattro incidenti…), mi sono venuti bicipiti e tricipiti da premio. Non ci potrò giocare a tennis, ma per impastare brioches e montare albumi a mano vanno benissimo, anzi: meglio di prima!

Secondo capitolo: “Premiata ditta d’Aubergine: lavori edili e piccola cucina”. Le mie stanze erano bisognose di cura, e siccome sono disseminate qua e là, e non è semplice riuscire a coordinate tutto e tutti a distanza, me ne sono dovuta occupare seriamente. Qualche pennellata, sbuffi di polvere, mobili in perenne movimento (qualcuno arriva, qualcuno va), e l’ormai consueto parfum d’ambiance “cire d’abeille & térébenthine” che aleggia per casa alternato al profumo di brioches. Adesso certi servizi di piatti migreranno in quella che – seicento chilometri e un paio di vite fa – era una libreria, i libri piccoli sono finalmente al riparo di ante chiuse da una retina da pollaio (ce n’è voluta, per convincere il falegname che non ero ammattita…), gli ospiti possono finalmente radersi senza il rischio di tagliuzzarsi i connotati (ora abbiamo uno specchio anche in quel bagno). E i due corbezzoli in terrazza si sono finalmente fidanzati: piccole bacche rosso arancio penzolano tra i rami, come ciliegie d’autunno, e anche se quella del fidanzamento è la spiegazione del falegname, a noi piace pensare che funzioni per davvero così…

Capitolo terzo: “Turbini di scartoffie”. Ho avuto una scrivania che pareva la Cordigliera delle Ande per mesi e mesi. Pile di fogli s’innalzavano, travolgendo agende, libri, appunti, e ogni altro segno tangibile di normalità. Un paio di valanghe e altrettanti uragani – scatenati dall’incauta apertura della finestra di fronte, mentre fuori infuriava la tempesta (adoro l’odore della pioggia, anche in città) -, mi hanno costretto a riconsiderare un utensile da scrivania che avevo dimenticato: la pinzatrice. E quando i blocchi di fogli erano troppo spessi per le misere graffette in dotazione, ricorrevo a un altro utensile a me assai congeniale: il martello. Una pinzatina davanti, una dietro, qualche colpetto assestato con decisione, tump! tump!, e i miei fogli erano salvi!
E nonostante le reiterate proteste di Monsieur (“Questa mania delle martellate che ti è venuta ultimamente è una cosa da matti, lo sai?!? Finirai per far crollare il tavolo…”), il martello si è trasformato in un oggetto da scrivania: come i cesti con le matite colorate, il mug scozzese con le biro, quello blu con le stilografiche, il vaso cinese con i ventagli (non abbiamo l’aria condizionata…) e le ciotole con gli elastici, le gomme e le graffette. A fine giornata (che non di rado coincideva con l’alba), dopo aver messo tutto in ordine lo posavo sulla pila di fogli ancora in divenire, quella che non aveva ancora trovato un ordine definitivo: e vi posso garantire che un martello è un eccezionale fermacarte…

Ora la situazione è tornata alla normalità: un metro lineare di scrivania per lavorare, e un altro metro e mezzo per ospitare le pile di carte e libri che non possono non esserci. C’è di nuovo un piccolo vaso con dei fiori, ma non c’è più traccia del martello… a meno che non siate disposti a considerare come “traccia” qualche martellatina qua e là che aggiunge un piacevole tocco di vissuto all’insieme (e se mi volete bene, mi aiuterete a convincere Monsieur che qualche bozza di martello non è la fine del mondo).

E poi… poi ci sarebbe il capitolo “Baci e polpette”. E scusatemi se ve lo racconto solo adesso, ma è così emozionante che mi ha fatto diventare un po’ egoista: ho provato, finché possibile, a tenermelo per me. C’è una Polpetta che saltella per casa di tanto in tanto. E’ deliziosa, e se non vi passo la ricetta è solo perché è antica quanto il mondo, e la conoscono tutti: è una di quelle che si mangiano… di baci! Così adesso sapete che se, tra uno sbuffo di polvere e una martellata, dovesse comparire qualche biscotto mezzo ciucciato, nei prossimi post, non è per colpa di Agostino (sempre vivo e vegeto, pur nella sua condizione di fantasma) ma di un esserino che sa già come arrampicarsi fino alla tastiera e pigiare il tasto che cancella quanto la sua nonna ha appena scritto. E poi sorriderle con una faccia da schiaffi che nessuno, qui, si chiede da chi abbia preso…

Saluti e baci! (emozionati e infarinati)

S.

SODA BREAD DI CECI AI POMODORI SECCHI

INGREDIENTI

farina bianca 00: 200 gr
farina integrale: 100 gr
farina di ceci: 100 gr
crusca di grano: 50 gr
semi misti (zucca, sesamo, lino, girasole): 50 gr (più 2 cucchiai per la finitura)
pomodori secchi: 3-4 (o anche di più, se vi piacciono)
sale fino: 1 cucchiaino
bicarbonato: 2 cucchiaini rasi
miele liquido: 1 cucchiaio
kefir: 150 ml
latte: 350 ml

Accendete il forno a 180° e rivestite di carta forno uno stampo da cake.

Mettete in una ciotola le farine (setacciate quella di ceci, che tende a fare grumi), la crusca, i semi, i pomodori secchi tagliati a listarelle, il sale e il bicarbonato setacciato. Mescolate con una frusta a mano, cercando di incorporare più aria possibile con movimenti ampi (se una frusta non ce l’avete, ripiegate sul cucchiaio, anche se non è proprio la stessa cosa ).

Fate intiepidire il latte con il miele, mescolate bene per farlo sciogliere completamente e lasciate raffreddare. Poi aggiungete il kefir e rovesciate tutto nella ciotola con gli ingredienti “asciutti”.

Mescolate rapidamente con un cucchiaio. Non c’è bisogno che lavoriate a lungo (anzi, siate rapidi perché il bicarbonato inizia ad agire appena entra in contatto con il kefir), fermatevi appena vedete che la farina è incorporata nell’impasto, che dev’essere appiccicoso ma non troppo molle.

Rovesciate nello stampo e livellate senza troppa precisione (non schiacciatelo!), cospargete con i 2 cucchiai di semi rimasti e infornate subito.

Cuocete per 50 minuti con lo stampo e 10-15 minuti senza (cioè estraete il pane dal forno, toglietelo dallo stampo sollevandolo per i lembi di carta, e rimettetelo in forno per altri 10 minuti).

Sfornatelo, e lasciatelo intiepidire prima di affettarlo (sennò si sbriciola, come potete ben vedere…). Il soda bread di ceci è buono con i formaggi, con gli affettati, con le zuppe di verdura… ma a qualcuno piace anche, semplicemente, con il burro…

POSTILLE

Un video dedicato al soda bread non mi sarebbe venuto in mente, se non fosse che continuo a ricevere decine di mail sull’argomento. La più bella mi è arrivata due anni fa da Edoardo, 30 anni: “Volevo solo che sapessi che questo pane mi ha cambiato la vita: da quando ho trovato la tua ricetta, lo faccio tutti i giorni”. Così ho pensato che fosse arrivato il momento di raccontare a quanta più gente possibile com’è semplice farsi un soda bread.
Questo è stato il mio primo video, e da allora sono cambiate alcune cose: quegli occhiali hanno perso una stanghetta, le ballerine sono finite in un cestino della carta straccia a Parigi, e io ho smesso di ustionarmi i polsi con le teglie grazie a un nuovo paio di guanti. Sono anche un tantino più magra. E dal video successivo, L. si è arreso ai miei adorati ritmi swing…

Altre ricette di soda bread:
– soda bread con farina di lino
– Irish soda bread (con farina d’avena)
– Irish soda bread n.2