Confit di cipolle e peperoni

http://www.fragoleamerenda.it/author/sabrine/

Confit di peperoni

Frishhh! … Slap, slap… Frishhh! … Slap, slap… No, non è lo sciabordìo delle onde in riva al mare, alternato a generose spalmate di crema solare, ma il suono delizioso di una padella di cipolle e peperoni con la quale sto tentando di tenermi su il morale. Perché – tanto vale che ve lo dica subito – sono di nuovo con una latta di vernice a fianco ed un pennello in mano.

Forse vi ricordate di quel vecchio palazzo con le finestre spalancate sulla piazza, teatro di funamboliche performance della sottoscritta a cavallo tra cucina e cantiere. Erano quasi due anni fa e le mie giornate alternavano momenti al di là e al di qua del cellophane, una chiusura posticcia che segnava il confine tra due vite differenti più che tra due parti di casa. Di qua la normalità, sovvertita dal subbuglio di cataste di mobili disposti in maniera improbabile ma pur sempre rassicurante; di là l’universo selvaggio abitato da una tribù di personaggi del tutto improbabili come protagonisti di un cantiere ma squinternati al punto da apparire persino divertenti.

Finito il tempo della ciurma di muratori ammutinati, del cercatore di lumache e dell’idraulico urlatore che sventolava bidet (oddio… si può scrivere “bidet” in un foodblog?), ho deciso che era giunto il momento di far cadere anche l’ultimo telo di plastica, il residuo segno di confine tra la civiltà e il caos primordiale: e di patirne le conseguenze.

confit di peperoni

“Signora, come lo vuole questo bastone per la tenda della doccia?” mi chiede il muratore che per l’occasione ha ritenuto di portarsi persino un assistente geometra con raggio laser appresso.
“Lo infili nei buchi che ha fatto il marmista e lo fissi con delle viti…”
“Cioè… devo fare altri buchi?!?” mi dice, come se gli stessi chiedendo di far saltare con la dinamite un lastrone in una cava.
“Ma non si ricorda che l’ho chiamata proprio per questo? Io con il mio trapano i buchi nella pietra non li posso fare… Piuttosto, si è ricordato di portarsi la punta adatta?”
Fissa il bastone, poi la lastra di pietra, poi di nuovo il bastone. Poi guarda me e con l’aria di un chirurgo al capezzale di un moribondo senza speranze sentenzia: “Non credo che si possa fare, ma ci provo…”

La sua prova inizia con complicati calcoli trigonometrici per stabilire il punto migliore per il foro numero uno. Intanto che scarabocchia segni, mi illustra teorie dall’incerto fondamento scientifico sulla composizione del marmo e persino sulla sua disposizione d’animo.
“Vede signora, questa pietra ci impiega dei millenni a formarsi: e lei pretende che noi in pochi minuti la buchiamo? Farà di tutto per resistere…”

Il ragionamento avrebbe una sua logica se non fosse che qualche anno fa – lo ammetto: senza alcuna preoccupazione etica per i diritti delle pietre – abbiamo fatto lo stesso lavoro in altre due docce. Ma non gli posso dire che un suo collega ha già sfidato il mio marmo e ne è uscito vittorioso: si sentirebbe sfidato a sua volta, e da queste parti una sfida è sempre una cosa serissima. Anche se a colpi di trapano.

Così mi offro di fargli da attendente, giacché il geometra – già svagato di suo – è ipnotizzato dalle volute del laser. Non è che passare la mattina avvinghiata a un muratore in cima ad una scala sia tra le mie massime aspirazioni, ma mentre sono lì, con una mano sull’ultimo piolo perché lui non mi caschi addosso e l’altra che impugna il tubo di un aspirapolvere per scongiurare una nube da silicosi, mi dico che in fondo la sua filosofia non è del tutto strampalata: chissà a quanti millenni fa risale questa pietra, quanta vita ci è passata attraverso prima che il tempo la fissasse per sempre nella sua rigidità…

“Signora, chiuda gli occhi!” mi avvisa baldanzoso un attimo prima di scatenare il finimondo.
Trapano e aspirapolvere scattano all’unisono, un rombo unico di inusitata potenza che risuona con effetto stereofonico per le stanze vuote. E’ una battaglia condotto con ansia di sterminio: se ci fosse in sottofondo la “Cavalcata delle Valchirie” mi sentirei a bordo di uno dei bombardieri di “Apocalypse now”. Siamo attrezzati anche sul versante armi chimiche: un fungo atomico di sottilissima polvere bianca, odorosa di gesso e di muffa,  è la prova inconfutabile che i filtri del suo aspiratore e la mia lastra di marmo risalgono alla stessa era geologica.

“Signoraaa? Resisteee?” urla il trapanatore dall’ultimo piolo.
“Non si preoccupi! … ma quanto manca?”
“Ci siamo, ci siamo!” declama, certo di aver fiaccato il nemico.

Dopotutto hanno scavato il tunnel del Monte Bianco, cosa vuoi che siano tre buchetti col trapano, mi dico, mentre ad occhi chiusi cerco di concentrarmi sull’immagine della punta che s’insinua spietata nel calcare millenario. E’ come fare meditazione trascendentale sotto un bombardamento: nel più assoluto stordimento dei sensi cerco conforto nella filosofia.
“Questa pietra cederà” è il mio mantra. E ad occhi chiusi vedo attorno a me minatori che picconano le viscere della terra, sento il sapore della polvere in gola, avverto la claustrofobia dello spazio ristretto e del poco ossigeno da condividere.

Mi immedesimo a tal punto che mi pare di sentire odore di bruciato: dev’essere la dinamite che esplode… E persino una specie di scoppio: non può che essere ancora la dinamite…
E’ il lampo di una fiammata che mi trapassa le palpebre a risvegliarmi dal mio ascetico torpore: con tutto il rispetto per il potere della meditazione, forse tutta quest’immedesimazione è un po’ eccessiva.

Riapro gli occhi: al centro della nuvola bianca, percorsa da dense volute nere, il trapanatore osserva incredulo l’arma fumante.
“Si è fuso…” mi comunica con l’aria di un generale sconfitto pronto alla resa. “Gliel’avevo detto che avrebbe fatto resistenza.”

Nella semioscurità (è saltata persino la corrente) intravedo rivoli antracite che gli solcano la faccia, e ho la certezza che stia avvenendo altrettanto sulla mia.
“Ma ne ha bucato almeno un po’?”
“E certo! Guardi… saranno quasi due millimetri!”
Un gemito soffocato è tutto quel che mi riesce di esprimere.

confit di peperoni: scalogni, alloro, ginepro

Il marmista è stato molto gentile. Mi ha dettato per telefono le caratteristiche della punta più adatta. Cinque euro e un quarto d’ora dopo, armato di trapano di riserva, il prode sforacchiatore di pietre millenarie ha dato inizio alla battaglia finale. Ne è uscito vittorioso ma senza gloria, come le truppe colonialiste che sparavano sugli indigeni armati di lance.

“Eh signora, con una punta di diamante sono bravi tutti… Ma io ce l’avrei fatta anche senza, sa?”
“Ah… questa è di diamante? E la vendono a cinque euro? Allora ho ragione io che quel ferramenta in centro non è poi così caro…”
“Ma sa che lei è proprio simpatica? Le piacciono le lumache? Gliene porto un po’, le raccoglie mio cognato.”
“Molto gentile, ma non avrei tempo di cucinarle. E poi di là sto già cuocendo i peperoni.”
“Allora stanno bruciando, perché si sente una puzza…”
“Tranquillo, è quella del suo trapano fuso. Piuttosto: ha visto che mi ha affumicato pure la parete?”
Guarda sconcertato una nuvoletta antracite esplosa sull’azzurro della calce.
“Questa? Ma viene via in un attimo!” e intanto che lo dice ci passa su la mano.

Se n’è andato a sera: una giornata (geometra incluso) per dodici buchi.

L’aria di casa profuma un po’ di cipolle e peperoni, un po’ di alloro e di ginepro, e un po’ di simil-dinamite. Sul muro azzurro polvere si allarga un lungo segno nero: è il sorriso del mio bagno per lo scampato pericolo…

S.

CONFIT DI CIPOLLE E PEPERONI

INGREDIENTI

cipolle di Tropea: 3 belle grosse
peperoni rossi: 2 (e che siano dolci e carnosi…)
pomodori ramati: 1 piccolo (solo se profuma di… pomodoro!)
aglio: 1 grosso spicchio (o un pizzico d’aglio in polvere)
alloro fresco: 3 foglie
bacche di ginepro: 5 o 6
olio extra vergine di oliva: 3 cucchiai
aceto balsamico: 2 cucchiai
dark brown soft sugar: 2 cucchiai (o uno zucchero di canna grezzo)
peperoncino (quanto ne potete reggere)

Lavate i peperoni, tagliateli a metà per il lungo e privateli dei semi e della parte bianca. Affettateli a listerelle di circa 3 mm (impegnatevi e fatele regolari). Se i peperoni sono lunghi tagliate prima le falde a metà (cioè: non dovete fare degli spaghetti di peperone, che diventerebbero poco garbati da mangiare). Tenete i peperoni da parte.

Pelate e lavate le cipolle, tagliatele a metà per il lungo e poi a fettine non troppo sottili (… diciamo 2 mm). Fatele andare in una padella a fuoco medio con l’olio, l’alloro, lo spicchio d’aglio pelato e tagliato a metà e le bacche di ginepro. Non aspettatevi che diventino trasparenti, devono solo ammorbidirsi, perdere il loro liquido e assorbire l’olio.

Mescolate spesso e, quando vedete che rischiano di attaccarsi (vedete di resistere almeno una decina di minuti) aggiungete 2 cucchiai d’aceto balsamico e contate fino a trenta (deve solo evaporare l’alcol…). A questo punto liberate col cucchiaio di legno un piccolo spazio al centro della padella, aggiungetevi lo zucchero e fatelo caramellare bene (se lo mettete sulle cipolle si scioglie e vi potete scordare il caramello…).

Gettate nella padella i peperoni e fateli saltare con le cipolle finché riuscite a non farli attaccare. Poi aggiungete sale e aggiungete qualche cucchiaio d’acqua (4 o 5, non di più), mescolate e continuate la cottura. Se i vostri peperoni hanno la pelle sottile potete farlo senza coperchio (mescolando spesso e aggiungendo all’occorrenza un cucchiaio d’acqua), altrimenti copriteli per farvi dare una mano dal vapore. Occhio all’effetto “verdure lesse”, sempre in agguato sotto il coperchio!

Quando i peperoni sono cotti – cioè morbidi ma pur sempre croccanti e non disfatti – aggiustate di sale, aggiungete il peperoncino e un altro cucchiaio di aceto balsamico (anche in questo caso non versatelo direttamente sulle verdure ma fategli un po’ di spazio al centro della pentola), fate asciugare e spegnete il fuoco.

Versate il confit in un barattolo di vetro e lasciatelo raffreddare.

Tenetelo in frigorifero (dura qualche giorno) e tiratelo fuori ogni volta che avete voglia di uno spuntino corroborante. Funziona a meraviglia su una bruschetta strofinata d’aglio, su una fetta tostata di brioche, con formaggio e crackers, con le uova sode. Naturalmente potete spacciarlo anche come contorno a una fetta di roast beef o di lingua bollita (lo so, i vegetariani si volteranno dall’altra parte ma io la adoro…), e persino condirci gli spaghetti.

POSTILLE

Credits
La ricetta del confit di peperoni è ispirata da Elle à table e opportunamente rivisitata con gli ingredienti della mia cucina.

Altre cose deliziose da spalmare sul pane quando viene l’estate:
confit d’oignons
caviar d’aubergine
tapenade di olive nere e fichi secchi
chutney di fichi all’aceto balsamico
crema di peperoni con pomodori secchi
hummus
crema alla senape

Eccessi piccanti (18 luglio, pomeriggio)
Cercasi lettrice di FRAGOLE A MERENDA che ha esagerato con il peperoncino nella ricetta del confit di peperoni. La sottoscritta – notoriamente più a suo agio con tastiera e fornelli che con i mistieri del software – ha improvvidamente cancellato il messaggio: il quale ha fatto appena in tempo ad apparire sullo schermo, suscitare un moto di tenerezza e comprensione, per poi scomparire inghiottito dal Mac. Forse il nome era Michela, ma non ci giurerei.
Rimedio suggerito: tirare fuori altrettante cipolle, farle saltare e caramellare (meglio se con alloro e ginepro) e poi aggiungerle al resto del confit.
Rimedio alternativo: invitare a cena gli amici più “spice-addicted” della propria rubrica, e spacciare la ricetta per una cosa molto, molto etnica (nel caso, predisporre bevande adatte alla bisogna per il dopo-cena).