La vellutata di piselli e baccelli

Vellutata di piselli con baccelliVellutata di piselli con baccelli http://www.fragoleamerenda.it/author/sabrine/

Vellutata di piselli con baccelli, ricetta di Sabrine d'Aubergin

Gettò gli occhi all’indietro, alzò le mani al cielo e le giunse con uno schiocco secco che rimbombò per tutto l’androne. Poi sporse la testa fuori dalla guardiola e gridò con voce stridula e atterrita, come se un’orda di saraceni si stagliasse all’orizzonte: “Ci so’ vvolate ‘e mutanne?!? Poooverine!!”
“Shhh! Abbassi la voce! – le gridai in un sussurro – E poi guardi che sono boxer… bo-xer!”
“Embé? Sempre mutanne sono…” rispose roteando mani e occhi all’unisono. Poi si mise le mani sui fianchi e aggiunse: “E lei per questo ci vuole regalare ‘sti fiori così belli a quellallà?!?”
Quando finalmente tacque, mentre l’ultima “a” accentata si propagava per l’intero scalone, posò severa lo sguardo sul mazzo che stringevo tra le mani.

Ora, mi rendo conto che gli svolazzi di mutande – pur se frammisti a delicati fiori di pisello odoroso e camomilla – non siano esattamente quello che ci si aspetta di trovare dentro un blog di cucina. Ma abbiate pazienza: se io e voi siamo ormai dei veri amici, questa storia non ve la posso tacere. Perciò, se non avete già cambiato rotta verso lidi cuciniferi più rispettabili e rassicuranti, seguitemi facendo qualche passo a ritroso: nel tempo (mezz’ora appena) e nello spazio (quattro interminabili piani di scale). Facciamo che vi racconto la scena al presente, come un flash-back senza parole e al rallentatore: una finestra spalancata, un maglione polveroso di carteggiature di vecchi mobili (abbiamo detto senza parole, no? dunque: niente domande, grazie…) che ha bisogno di una scrollatina all’aria aperta prima di finire in lavatrice, e una povera signora che si accorge con un istante di ritardo che quel maglione malandrino si è tirato dietro dal cesto della biancheria anche… unpaiodiboxer! (detto tutto d’un fiato e sottovoce, per salvare almeno le apparenze).
Così, quel lembo di cotone azzurro si allarga in volo come una gigantesca, esotica farfalla, ma non atterra su un fiore tropicale, bensì sul terrazzo sottostante. Il terrazzo nobile, con tanto di stemma coronato e anello per infilarci la bandiera. Quello della signora che chiunque vorrebbe evitare per le scale, perché ne ha sempre una. O meglio: ce l’ha sempre con qualcuno…

“Non la chiami “quella là” che magari è nei paraggi. E poi, in qualche modo mi devo scusare…”
“Ecché scus’ e scuse! Lei è troppoggentile. E quellallà è una strega che in confronto quel fantasma in casa sua è un santo!”
Restai interdetta: non aveva tutti i torti. A cominciare da Agostino che – ancorché ectoplasma – è ormai una “presenza” rassicurante in casa nostra: lo evochiamo ogni volta che certi fenomeni ci appaiono inspiegabili, almeno secondo i nostri razionalissimi canoni.
Quanto alla proprietaria del terrazzo, nota in portineria come “quellallà”, va annoverata tra i fenomeni spiegabili solo mediante ricorso a generose dosi di tolleranza: perché è la persona più intollerante che esista. A mesi alterni se la prende con certi danzatori notturni, innocui ballerini di tango che volteggiano sotto la luna nella piazza altrimenti deserta. Oppure con i vigili urbani, che modificano il senso di marcia della via senza premurarsi di avvertirla prima suonandole al campanello. O con fantomatici scassinatori di auguste dimore, che lei crede di riconoscere in chiunque si avvicini all’avito portone. Appena qualcuno le fa notare che le sue intemperanze sono fuori luogo (il che, regolarmente, accade), lei inforca la bicicletta ed esce a tutta velocità dal palazzo, rischiando d’investire il primo malcapitato passante.

“Io spere ch’accoppi aqqualcuno, ‘sta pazza qua…” chiosa la portinaia dopo ogni suo involarsi su due ruote. “Così almeno i viggili li chiam’io!” Ma nessun incidente è stato ancora degno di ricorso alla forza pubblica: l’unico ad esser stato travolto, per il momento, è il bidone della spazzatura condominiale rimasto sul marciapiede fuori orario causa sciopero degli addetti alla raccolta.

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Mi perdonerete se mi sono dilungata nel presentarvi un soggetto simile, ma è solo per farvi capire quale tumulto agitava il mio cuore mentre osservavo il risultato di quell’innocente scrollatina. “Ma dimmi tu se mi dovevo infilare in un pasticcio del genere!” continuavo a ripetere, mentre giravo per casa alla ricerca di una soluzione.
Ma nessuna soluzione rientrava nel novero dei rimedi praticabili. Nessuna possibilità di accesso alternativo al blasonato terrazzo, nessun domestico da corrompere a suon di sorrisi. Niente di niente: solo l’onta di quel lembo di cotone indecentemente afflosciato su se stesso.

Così ho preso busta e cartoncino e, armata di stilografica, ho buttato giù il mio atto di autoaccusa. “Gentile signora, mi duole informarla che quest’oggi, malauguratamente, un capo di biancheria è inavvertitamente caduto nel suo terrazzo… eccetera, eccetera, eccetera”. Vi dirò: mi veniva un po’ da ridere, mentre con linguaggio aulico cercavo di descrivere quel volo di mutande e il mio sconcerto nell’averle arrecato un tal disturbo.
Poi mi sono precipitata dalla fioraia e ho ordinato un mazzo di fiori, inusuali come piace a me. E quando si è trattato di sceglierne i colori ho pensato che tanto valeva continuare a divertirsi fino in fondo, nonostante le incresciose circostanze. Li ho scelti come le innocenti righine che potevo ammirare affacciandomi alla finestra: fiori di pisello odoroso azzurro cielo e fiori di camomilla.

E’ stato a quel punto che, passando davanti alla guardiola, ho incrociato lo sguardo vigile della portinaia.
“Ci hanno regalat’ i fiori? Ma che è, il suo compleanno?”
“Magari! Sapesse a chi è destinato questo mazzo…” e ho confessato l’accaduto.
Beh, non ci crederete: quella magia che avevo invocato solo mezz’ora prima, in un istante è diventata realtà. O meglio: una possibile realtà, a patto che si verificassero alcune condizioni.

“Numero uno: cell’ha un gancio?” fece lei con le mani sui fianchi.
“Un gancio? E a che le serve?”
“Serve a lei… Numero due: cell’ha un filo di nailo?”
“???”
“Numero tre: si sbrighi, perché quellallà è appena uscita in bicicletta. E’ dalla madre: ci sta sempre un’ora” e concluse la lista di imperativi con una strizzata d’occhio complice.

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Un quarto d’ora dopo, la scena che si svolgeva nella via era la seguente: una signora, affacciata da una finestra al quarto piano, manovrava con incerta perizia una sorta di lenza, frutto di un estemporaneo ma creativo lavoro di bricolage.
Il lungo filo di cotone bianco e rosso era stato preso dal rocchetto abitualmente usato per confezionare pacchetti con libri e pagnotte (la signora è appassionata di entrambi i generi), giacché quello di “nailo” era stato scartato dopo il primo lancio: preferiva seguire il vento, anziché scendere a piombo sul terrazzo sottostante.
L’amo era stato ricavato dallo spillone di un vecchio kilt, un Black Watch sopravvissuto ai soggiorni giovanili nelle campagne del Kent che la signora aveva continuato ad indossare per molti anni, e dal quale non ha ancora deciso di separarsi (certo non se lo rimetterà ora senza spillone, e di questo sarà più che felice sua madre).
Il peso era costituito da una piastrina di metallo, residuato dell’ultima incursione del falegname che aveva tribolato non poco a tener chiuse le ante di un armadio, nato libreria e reincarnatosi in una scarpiera dopo essere stato tagliato a metà per farlo passare dalle scale.

“Non posso fare una cosa del genere…” gemevo sottovoce, mentre nella guardiola sottoponevo al vaglio della portinaia quell’arnese da circo equestre.
“Ecché? Ci vuole regalare i fiori e tante scuse?!?”
“Ma… e se arriva e ci vede?”
“Tran-quil-le! Ce l’ho ggià detto agli operai…”

Dunque, dicevamo: io lanciavo la mia lenza bianca e rossa dalla finestra, lei sul marciapiede di fronte mi dava istruzioni, due manovali del palazzo in ristrutturazione dall’altro lato della via stavano di vedetta: dall’ultimo ponteggio dominavano l’incrocio dal quale “quellallà” sarebbe prima o poi sbucata pedalando.
Sudavo freddo: mi concentravo sulla traiettoria dell’amo, ignorando volutamente qualche passante che incuriosito alzava gli occhi.
“Giuù! Vada ppiù giù! No, più a destra…  Aspetti che pass’un motorino!” gridava la portinaia, felice come una Pasqua per quell’inatteso pomeriggio. I manovali, invece, per fortuna operavano in silenzio: essendo moldavi, si limitavano ad eloquenti cenni della mano.

Ce l’abbiamo fatta al quarto tentativo, dopo due “agganci” andati a male e un terzo che ha rischiato di ancorare al nobilissimo stemma quell’amo da circensi disperati (m’immaginavo già costretta ad emigrare, per evitare l’onta di una petizione condominiale contro ignoti assalitori in boxer). Tra una leggera raffica e l’altra, il fedele spillone da kilt ha infine compiuto il suo dovere: ha sollevato per un lembo il suo carico azzurro, l’ha condotto appena oltre la balaustra coronata e… fushhh!… l’ha lasciato andare sospinto dal vento.

“Ce ll’ho!!” ha urlato la portinaia sventolando l’audace vessillo, mentre i complici moldavi allargavano un sorriso dall’alto del ponteggio.
Ho ritirato la mia lenza bianca e rossa con velocità da consumato pescatore: non vedevo l’ora di richiudere quella finestra, fattasi suo malgrado sipario sulla via. E ho sperato con tutta me stessa che nessun altro mi avesse vista, mentre scendevo le scale due alla volta per correre a recuperare il corpo del reato.
“Adesso questi sono per lei: se li è meritati!” e le ho porto con un sorriso il mazzo bianco e azzurro.
“E io so’ ccontente che non ci so’ finiti a quellallà! E comunque grazie…”

Vellutata di piselli con baccelli, ricetta di Sabrine d'AuberginVellutata di piselli con baccelli, ricetta di Sabrine d'Aubergin

Per giorni quella piccola nuvola di piselli odorosi e camomilla ha fatto bella mostra di sé nella guardiola, sul tavolo con le zampe di leone. Chiunque passasse di là non poteva che ammirarla. Io salutavo come sempre, con un sorriso e un cenno della mano, e la portinaia mi strizzava l’occhio. Finché una mattina si sporse con la testa e mi chiamò furtiva.
“Ma sa che quellallà ci butta lo sguardo ai suoi fiori ogni volta che passa?”
“Si vede che le piacciono..”
“Crepa d’invidia! Ma io ce l’ho un rimedio contro il malocchio… – e si mise le mani sui fianchi socchiudendo gli occhi – E funziona!”
“E come fa a saperlo, scusi?”
“Lo vede quel cestino llà? – e mi indicò un pezzo d’arredo urbano nuovo di zecca ma con una vistosa bozza. – L’ha acchiappat’in pieno stamattina” e allargò le mani come parlando di un evento ineluttabile.
“Poveretta! S’è fatta male?”
“Ma che mal’ e male! Se l’è presa col Sindaco che ci mette i bidoni senz’avvertire… quella mò fa una denuncia!”
“Allora vuol dire che sta bene…” e questa volta le feci l’occhiolino io.

L’enorme portone incorniciava il mio sorriso, mentre uscivo a passo svelto sulla via. Dall’alto del ponteggio di fronte provenivano improperi in moldavo, rumori di macerie e nuvole di polvere. Ma quando alzai lo sguardo vidi solo rondini, e cielo di un azzurro nitido e sfacciato. Era una bellissima giornata…

S.

LA VELLUTATA DI PISELLI E BACCELLI

INGREDIENTI

piselli: 500 gr (freschissimi, teneri, dolci e soprattutto… non trattati!)
lattuga: un piccolo cespo
patate: 1 grande o 2 piccole
porri: 2
aglio fresco: 2 piccoli bulbi
maggiorana: 2/3  rametti
burro: 1 cucchiaio
granulare vegetale

Mondate e sciacquate accuratamente la lattuga, le patate, i porri e l’aglio fresco. Tagliate la lattuga a listarelle, le patate a grossi pezzi, i porri e l’aglio a tocchetti (utilizzate anche un po’ della parte verde dell’aglio, quella più chiara).

Mondate i piselli eliminando le due estremità del baccello e il filamento longitudinale (come fareste con i fagiolini, giusto per esser chiari). Lavateli accuratamente più volte, scolateli e tagliateli in 2/3 pezzi ciascuno.

Mettete in una pentola il burro, i porri e l’aglio e fate andare a fuoco dolce per 2/3 minuti (vedete di non farli soffriggere, altrimenti la vostra vellutata saprà d’aglio e di cipolla anziché di piselli…). Poi aggiungete il resto delle verdure, tranne la maggiorana. Fatele stufare mescolandole spesso perché non si attacchino (non spaventatevi, la lattuga sembra una montagna ma svanisce prestissimo!), poi copritele d’acqua e aggiungete un po’ di granulare (senza esagerare).

Lasciate cuocere a fuoco medio finché le verdure non sono tenere (i baccelli dei piselli resteranno sempre un po’ filamentosi, ma non preoccupatevi: ci penserà il colino). Aggiungete le foglioline di maggiorana solo qualche minuto prima di spegnere il fornello.

A fuoco spento, lavorate la zuppa con il minipimer, poi passatela al colino: ve ne servirà uno a maglie fitte (quello forato del brodo non va bene), piuttosto grande. Aiutatevi con un cucchiaio e armatevi di pazienza, perché i baccelli di pisello  – anche se li scegliete teneri – hanno sempre delle fibre che le lame possono solo fare a pezzi… ma non eliminare! Perciò passate le verdure al setaccio anche un paio di volte (volete una vellutata, vero?) e cercate di non sprecare la polpa dolce che i baccelli nascondono tra i loro filamenti.

Quando avrete finito, aggiustate di sale e riscaldate prima di servire (si sarà raffreddata mentre eravate lì con il setaccio!). Se avete una ricotta buona e freschissima, spalmatela su una fetta di pane scuro: un pizzico di sale e due di pepe e la vostra vellutata di piselli non avrà bisogno d’altro…

POST SCRIPTUM

Ci sarebbe voluta una vellutata di piselli odorosi e camomilla per accompagnare questa storia, ma non ero affatto certa che fosse commestibile. Perciò ho colto l’occasione per tirar fuori dal mio archivio-teiera-di-latta una  ricetta di vellutata di piselli vecchia quasi quanto il mio kilt. L’ho preparata un pomeriggio di quelli con la luce color temporale, così frequenti a queste latitudini. E mentre fuori tuonava e c’era un freddo che pareva novembre, ho pensato che una ricetta – e una storia – di primavera si sarebbero meritate una luce diversa… ma io non conosco certi artifizi tecnologici da food-fotografi, dunque vi tocca prenderle così! Ha diluviato per giorni, e nel frattempo sono trascorse alcune settimane: adesso è quasi estate. Spero non siano finiti i piselli teneri, dalle vostre parti…