Vellutata di finocchi e pere

http://www.fragoleamerenda.it/author/sabrine/

Zuppa di finocchi e pere

Shhhh… non dite a nessuno che avete visto questa foto…. Perché si capisce – vero? – che per scattarla si deve salire su una sedia… e a me queste acrobazie le hanno impedite. Per la verità mi avrebbero anche intimato di non camminare. E mi hanno persino estorto la promessa di non stare in piedi per più di cinque minuti… e solo in situazioni di assoluta necessità. E credo che non riuscirei a far passare un post come una necessità improcrastinabile, date le circostanze.

Succede, in questo mio girovagare da un posto all’altro, che a volte mi dimentichi di dove sono. Voglio dire: non sempre il mio cervello ha il tempo di settarsi (è una parola orrenda lo so, ma non ne trovavo un’altra…) sulle coordinate del luogo in cui mi trovo. Mi capita di svegliarmi convinta di avere un comodino a sinistra e invece ce l’ho a destra, di accelerare prima di una porta pensando che dietro ci sia un lungo corridoio e di trovarmi invece in un office di pochi passi di larghezza… e così via. Se si aggiunge che ho lo sprint nel mio dna – nel senso che la mia andatura abituale è la corsa – e che frequento ancora luoghi ad elevata densità di cavi in terra, non è difficile comprendere come mi sia ritrovata a planare per tutta la lunghezza di una stanza, atterrando su un ginocchio. E mica uno a caso: ma quello che mi ricorda ancora – a tanti anni di distanza – che i fuoripista sugli sci non si devono fare…

Minuscole ghirlande di stelline si sono accese davanti ai miei occhi: avevo un cielo di Capodanno nella testa… e un aereo da prendere due ore dopo. Così ho immaginato di essere in cima a quella pista e di dover tornare a valle facendo conto solo su me stessa (in fondo avevo lasciato a casa il caricatore del telefono per davvero…) Mi sono immobilizzata la gamba, ho finito di fare quel che dovevo a denti stretti, e ho atteso che arrivasse il tassista mentre qualche silenziosa lacrima sfuggiva al mio controllo. Solo un attimo prima di uscire mi sono preoccupata per davvero: uno specchio irriguardoso mi ha rimandato l’immagine di uno spauracchio, pallido da far paura. Mi son data due schiaffetti sulle guance (era il rimedio di mia nonna…), ho messo il bagaglio a tracolla e ho chiamato l’ascensore.

In aeroporto, chiunque mi vedesse si premurava di offrirmi una carrozzella. Io ringraziavo tutti, cercavo di raddrizzare ancora di più la schiena (“Contegno, ragazza!” mi dicevo) e procedevo a passo da lumaca. Solo al metal detector mi hanno fatto scappare la pazienza. In questo aeroporto qualunque mio paio di scarpe fa scattare l’allarme. Le ho provate tutte, dagli stivali ai sandali, ma non c’è verso di scamparla. E ogni volta mi chiedo come sia possibile che con gli stessi mocassini che qua scatenano un putiferio io passi indisturbata per i controlli di mezza Europa.

“Si tolga le scarpe” mi ha intimato l’addetta in divisa con lo sguardo di chi si appresta ad affrontare un terrorista.
“Deve scusarmi, ma ho un ginocchio che non riesco a muovere…”
“Allora si sieda là…”
“Guardi, posso anche sedermi, ma non riuscirei mai a infilarmi i calzari: non lo piego. Non può perquisirmi, per favore?”
“Se l’allarme suona, lei ha qualcosa nelle scarpe…” e gli occhi le si facevano più sottili.
“Senta, io con queste scarpe passo da altri aeroporti e non squilla niente. Perché non mi perquisisce?”

Azzoppata, con un ginocchio che visibilmente esplodeva sotto i jeans, ero ferma a braccia larghe sotto il metal detector con i documenti in mano, mentre l’allarme suonava senza sosta: non indietreggiavo di un passo. Dietro, una fila di curiosi che allungavano la testa…
“Ma se non si può sedere, allora non può nemmeno viaggiare…” e lo sguardo era ormai quello perfido di un rettile. “Lei intralcia l’imbarco, quindi devo chiamare l’ufficio passeggeri con handicap e farla viaggiare in carrozzella…”
I miei occhi sono diventati due lame (ne sono capace…) e ho scandito le parole con una calma glaciale: “Io salirò in aereo da sola, mi siederò a gamba tesa, e non intralcerò un bel niente. E lei non chiama nessun ufficio carrozzelle, ma quello del suo responsabile… ”
C’è voluto l’intervento di un più esperto collega perché la signorina mi mettesse finalmente le mani addosso, appurasse che non nascondevo un pugnale nei pantaloni né una dose di esplosivo nei mocassini e si convincesse a lasciami andare senza legarmi a una sedia a rotelle.

A bordo, il mio vicino di posto mi ha allargato un sorriso appena mi ha vista arrivare: “Quella donna è stata così sgarbata che volevo dirle qualcosa. Sa ero dietro di lei ai controlli…”
Era un signore gentile, mi ha chiesto dove andavo e mi ha offerto un passaggio in città. L’idea di salire sull’auto di uno sconosciuto è quanto di più lontano dalla mia formazione femminile si possa immaginare: ho passato in rassegna rischi e opportunità per tutta la durata del volo. Certo, non avevo un cellulare funzionante ed ero pur sempre una signora sola e non proprio agile. Ma potevo sicuramente contare sulla mia scarsa avvenenza (essere uno spauracchio ha i suoi lati positivi…) e su un bagaglio a mano pieno di vecchi piatti e teglie vintage. In ogni caso, avrei avuto bisogno di un bancomat e l’idea di mettermi a cercarlo in aeroporto semplicemente mi atterriva. Così ho accettato: e mi sono ritrovata – non sana, ma salva – a due vie da casa.

Quelle cinque ore di viaggio sono state la mia faticosa discesa a valle. Una volta arrivata, mi sentivo come se avessi raggiunto la meta e non avessi null’altro da fare che godermi la doccia bollente, il profumo delle lenzuola e il refrigerio del ghiaccio sintetico sulla gamba. Ero in Paradiso… Mio marito, invece, era preoccupatissimo.

“Il giorno in cui la smetterai di viaggiare senza cellulare sarà troppo tardi! Non sapevo più dove fossi finita…”
“Ma io non ti volevo far perdere mezzo pomeriggio per venirmi a prendere..”
“E comunque, mi devi spiegare perché una con un ginocchio così si mette a lavarsi i capelli, anziché farsi portare all’ospedale…”
“Primo: perché anche con un ginocchio così non ho alcuna intenzione di somigliare a uno spauracchio. Secondo: perché se ci vado adesso e mi chiedono cosa mi fa male devo dire: “Tutto” e mi ricoverano. Perciò ci andiamo domattina…”

Sono stata irremovibile: come la signorina del metal detector (però più gentile…). Non avevo tutta questa fretta di farmi dire che mi sono fratturata una rotula e lesionata il menisco…

Così adesso ho un ginocchio delle dimensioni di uno stinco: e non posso nemmeno presentarvelo al forno. Giro per casa con un’andatura da contorsionista (non mi sono arresa alla stampella, anche se pare che dovrò capitolare…) e cucino di nascosto, nelle ore in cui sono sola e nessuno può sgridarmi. Non riesco a fare molte cose, ma sto scoprendo che meringhe e pani rapidi posso sfornarli anche da seduta… quasi. Per cena, poi, basta una zuppa con una fetta di pane e un’insalata.

Insomma, faccio di tutto per dimostrare che sono una paziente diligente con questo mio ginocchio che cigola. Perciò voi non traditemi: non raccontate in giro che mi arrampico sulle sedie pur di regalarvi una foto. Intanto perché sarebbero gelosi di voi. E poi perché mi legherebbero per davvero a una carrozzella: di contenzione, però…

Saluti e baci (azzoppati),

S.

VELLUTATA DI FINOCCHI E PERE

INGREDIENTI

finocchi: 500 gr
pere: 300 gr (quelle che volete, purché non troppo dolci né mature)
porri: 200 gr
grappa (sì… grappa): un bicchierino
yogurt greco: 2 cucchiai (va bene anche uno yogurt intero non troppo acido)
olio extra-vergine di oliva: 2 cucchiai più quello per condire
ginepro: 4-5 bacche e qualche fogliolina
granulare vegetale

Mondate i finocchi (tenendo da parte un po’ di barbette verdi), lavateli, pesatene circa 400 gr. e fateli a fettine.

Lavate e mondate i porri (eliminando anche la parte verde che utilizzerete per qualcos’altro), pesatene circa 100 gr. e tagliateli a rondelle di un centimetro.

Lavate e sbucciate le pere, eliminate i semi e fatele a cubetti (dovreste ricavarne circa 250 gr.).

Fate scaldare in una pentola un paio di cucchiai d’olio, aggiungete i porri, i finocchi e le pere e rosolateli per 5 minuti mescolando perché non si attacchino. Quando avranno consumato l’olio e il loro liquido, sfumate con la grappa come fareste per un risotto e lasciate evaporare l’alcol.

Coprite d’acqua poco più che a filo, aggiungete il ginepro e il granulare vegetale e fate cuocere con il coperchio per una ventina di minuti.

A cottura ultimata (cioè quando i finocchi saranno molto teneri) eliminate il ginepro e riducete in crema con il minipimer. Aggiustate eventualmente di sale e servite con una cucchiaiata di yogurt e un filo d’olio, decorando il piatto con le barbe di finocchio.

Potete preparare la vellutata anche in anticipo: nel caso, tenete le barbette a bagno in un bicchier d’acqua (come fareste per dei fiori…)

——————————

Grazie a David Leibovitz…
… perché l’idea della zuppa di finocchi e pere l’ho presa da lui. Ho sostituito però il sidro con la grappa e l’alloro con il ginepro (semplicemente perché era nella mia sacca da viaggio, assieme ai piatti e alle padelle vintage…): e devo dire che ci stanno benissimo…

Foglie a zonzo
Se usate il ginepro, contate foglie e bacche prima di metterle in pentola, per recuperarle più facilmente prima di usare il minipimer.

Dosi o non dosi?
Quando si tratta di verdure, e di zuppe in particolare, parlare di dosi e pesi fa quasi un po’ ridere: perché le verdure non sono tutte uguali e perché qualcosina in più o in meno non fa la differenza.
Però, anche dire “due pere” o “tre finocchi” non va bene: per le stesse ragioni di cui sopra.
Perciò, nel dubbio, io i pesi ve li ho messi: con l’avvertenza di prenderli con beneficio d’inventario. Considerateli giusto un rapporto tra ingredienti, perché il dolce delle pere non sovrasti quello più delicato dei finocchi.

Porri vs scalogni
Se non avete dei porri anche gli scalogni vanno bene, in dose minore però (80 gr sono più che sufficienti, altrimenti la zuppa prende un po’ d’aglio…)