Pane con segale e copertura croccante

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pane di segale e semi con copertura croccante

Dunque, vediamo un po’ chi portare… Un paio di formiche di quelle che razzolano in cucina (sono pur sempre un esempio di tenacia), i due merli sul tetto e una coppia di farfalle tra quelle svolazzanti sulle campanule in terrazzo. Il cane dell’architetto del quarto piano (più simpatico di quello della portinaia, che pare la simil-scimmia da borsetta di Paris Hilton), al quale occorrerà però trovare una compagna. E il gatto del ballatoio di fronte (ché quello del piano di sopra ha peli troppo lunghi e poi è antipatico). Un paio di rondini, niente piccioni né cornacchie (sennò mi tocca far mettere gli aghi d’acciaio persino tra i marosi).

Scusate, ma oggi ho da fare: mi sto preparando al Diluvio Universale. Un Diluvio 2.0, che affronterò con tanto di connessione wi-fi, ma pur sempre un diluvio con tutti i crismi: acqua a catinelle, pozzanghere che sembrano il Mar Morto, persino le onde davanti al passo carraio del marciapiede di fronte. Per cui mi attrezzo alla bisogna, nel caso mi si chiedesse di porre in salvo le specie meritevoli di esser traghettate verso un futuro après le déluge. E appunto diligentemente chi salvare e chi no, per evitare ingorghi e scene di panico sulla mia Arca 2.0…

Salverei i bambini, tutti incondizionatamente, ma lascerei a terra molti loro genitori. Salverei le vecchiette che lavorano all’uncinetto, purché non odino i ragazzi. E salverei i ragazzi, purché con le mutande dentro i pantaloni.

Salverei i cani, tranne quelli petulanti da borsetta, ma non quei padroni che escono dimenticandosi guanti e sacchetto. Salverei le api, compresa quella Piaggio modello 1967 (il mio sogno da sempre), i bruchi e le lucertole al sole. Lascerei a terra quelli che il sole non lo amano e vivono di notte, e quelli che credono che finto sia la stessa cosa e pagano per delle improbabili docce abbronzanti. Salverei il mare con tutti i pesci, ma con pochi bagnanti e senza moto d’acqua.

Salverei le veline, quelle di carta colorata con cui avvolgono i mazzi i fiorai di Parigi. E i calciatori, quelli di una volta che guadagnavano poco. Salverei i maestri appassionati, i bidelli gentili e gli alunni senza felpe firmate.

Salverei tutte le parole dette con forza e con passione, ma non quelle scritte con le kappa come negli sms, né le parolacce. Salverei i numeri e la musica, le vere lingue universali che tutti leggono alla stessa maniera. Salverei le orchestre, gli equilibristi sul filo e gli scrittori di favole. Porterei un paio di matti (non di più…) per ricordarmi che il confine tra la saggezza e la follia è come quello dell’Europa nei secoli: mobilissimo e incerto.

Salverei il cioccolato, le lettere scritte a mano su un bel foglio di carta, e il pane fatto in casa. I tovaglioli di lino con le iniziali (e meno di tre buchi), le candele dell’Ikea, le vecchie posate scompagnate. Porterei le mele e lascerei a terra il té matcha (che tanto è come l’Araba Fenice: capace di risorgere dalle sue ceneri tra le righe di qualche blog…).

Non imbarcherei gli invidiosi, quelli che non sanno chiedere scusa e i prepotenti che lampeggiano a tutti in autostrada. Ma un paio di scassinatori dall’animo gentile mi sarebbero utili, visti i miei problemi con le serrature di portoni pesanti…

Mi porterei un tubino nero (hai visto mai… dovessero organizzarci un cocktail di benvenuto a Diluvio concluso?), che tanto con l’umidità che c’è basta appenderlo un po’ ed è come fresco di tintoria. E un bel paio di scarpe da sera (qualche traccia dello stile italiano dovrà pur restare…).

Insomma, direi che sono a buon punto… Mi resta ancora una piccola indecisione: tra i ragazzi spagnoli dell’Erasmus del primo piano (chiassosi, ma sanno suonare persino la fisarmonica) e le due giovani pasticciere del negozio di sotto, che sfornano frolle e brioches tre volte al giorno.

Fuori c’è un cielo plumbeo, da Manuale del Perfetto Diluvio. Si sta alzando pure il vento: direi che ci siamo…

Solo un’ultima controllatina alla sacca: perché va bene viaggiare col bagaglio ridotto all’osso (e il mio comprende sempre qualche sacchetto di farina), ma dopo tanto sforzo organizzativo sarebbe un autentico peccato assistere a un Diluvio Universale senza aver niente da mettermi…

PANE CON SEGALE E COPERTURA CROCCANTE

INGREDIENTI

farina Manitoba: 300 gr
farina bianca 00: 150 gr
farina integrale di segale: 50 gr
acqua: 350 ml (circa)
malto d’orzo: 1 cucchiaio
sale fino: 1 cucchiaino
lievito di birra: 25 gr (un cubetto)

per la copertura:
uova: 1 (solo l’albume)
semi di girasole: 1 cucchiaio
semi di sesamo: 1 cucchiaio
semi di papavero: 1 cucchiaio
semi di lino: 1 cucchiaio
zucchero grezzo di canna: 1 cucchiaio raso
sale fino: 1 cucchiaio raso
pepe: 1/2 cucchiaino

Sciogliete il malto e il lievito in 250 ml d’acqua tiepida e fate riposare un quarto d’ora, finché non si forma una schiuma compatta.

Mescolate le farine e il sale in una grande ciotola, fate una fossetta al centro e versatevi il liquido con il lievito sbattendo con un cucchiaio. Continuate a sbattere mentre versate il resto dell’acqua e iniziate a lavorare con le mani quando non ce la fate più con il cucchiaio: vedete voi se ve ne serve altra (ed eventualmente aggiungetene due cucchiai per volta), ma fate attenzione perché la farina di segale dà sempre l’impressione di richiederne più del necessario. Dovete ottenere un impasto non troppo morbido, ma facilmente lavorabile.

Dategli le solite 8 torciture (e stavolta vi ho messo pure il video in nota…), rimettetelo nella ciotola pulita, ungetelo con mezzo cucchiaino d’olio e sigillate con la pellicola. Fate lievitare in un luogo tiepido finché non raddoppia di volume (ci vorrà tra un’ora e un’ora e mezza, a seconda della temperatura dell’ambiente).

Rovesciatelo sul piano di lavoro, tagliatelo in quattro parti e ricavatene altrettanti rotolini di 40 cm ciascuno. Modellate un pane con l’intreccio descritto qui (avendo cura di tenerlo un po’ lasso, per ottenere una pagnotta che si sviluppa in larghezza), mettelo su una teglia da biscotti ricoperta di carta forno e lasciatelo lievitare per altri 30-40 minuti (deve raggiungere la forma definitiva: mi rendo conto che l’indicazione può sembrare un po’ vaga ma credetemi… ve ne accorgerete).

Accendete il forno a 220°. Diluite l’albume con un paio di cucchiai d’acqua (ma non sbattetelo troppo: questa non è una pagnotta meringata…) e mescolate in una ciotolina i semi, il sale, il pepe e lo zucchero di canna. Quando il pane sarà lievitato, spennellatelo con l’albume e spolverizzatelo con il mix di semi. Cuocetelo per una ventina di minuti o finché non lo vedete ben dorato in superficie e fatelo raffreddare su una gratella.

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Ancora un pane…
Mi scuserete per la monotonia, ma sto approfittando del clima autunnale per trascrivere dal mio archivio di foglietti volanti una serie di ricette non esattamente estive.
Questo pane mi piace, perché sa di segale senza avere la consistenza un po’ “gnucca” dei pani di segale (la farina Manitoba fa il suo dovere…).
La copertura croccante di semi, con quel tocco di dolce e salato insieme, lo rende particolarmente adatto all’abbinamento con salumi e formaggi stagionati: diciamo che potete farne lo stesso uso dei panini al caramello salato, anche se questo è un pane più rustico, più corposo e meno raffinato. Un pane perfetto per essere imbottito a piacere in un picnic: dopo il Diluvio 2.0, s’intende…

E finalmente: le torciture!
Avendo ormai rotto ogni indugio nel post precedente (nel quale per esser d’aiuto alla cara Isafragola ho pubblicato un video sulla mio metodo di lavorazione per impasti morbidi), ho deciso che era ora di svelare urbi et orbi cosa sono quelle che io chiamo “torciture”, cioè i movimenti con i quali lavoro a mano i miei impasti lievitati.
Nulla di nuovo: è la classica lavorazione per la pasta fatta in casa. Ma credetemi, non è che ci voglia tanto ad impastare pure il pane: con 8-9 torciture un impasto è perfettamente lavorato e lievita a perfezione. Totale: 6-7 minuti al massimo.
Quanto a me – tapina, sigh! – dopo aver fatto della mia discrezione una bandiera sono ancora qua a chiedermi cosa mi abbia indotto ad espormi così tanto… Sappiate che l’ho fatto perché vorrei che la panificazione casalinga diventasse più familiare a molti, anche senza macchine del pane (e con questo, mi sono inimicata in un colpo solo chi le produce e chi le vende… non male).
Arriverà il momento – all’apice della mia carriera – in cui avrò da pentirmi di questi miei corti da principiante. Ma che volete… ogni donna di cinema ha qualche scheletro nell’armadio. E se queste sono pur sempre scene di bollente passione, in fondo io vi compaio avvinghiata a degli innocentissimi impasti da pane…