Le meringhe della rivincita

MeringheMeringhe http://www.fragoleamerenda.it/author/sabrine/

Meringhe

Mai fatte meringhe, fino a qualche mese fa. Non che non mi piacessero: è che avevo impressa nella memoria una scena di quelle capaci di cambiare il corso di un destino culinario. Premessa: mia madre (sempre lei, quella che cucinava in chemisier di seta…) è una cuoca fantastica. In decenni di onorata carriera non c’è nulla che non le sia riuscito bene in cucina. Tranne una cosa: le meringhe. 

Avrò avuto sì e no otto anni ed era uno di quei meravigliosi, oziosi pomeriggi d’estate che avrei tranquillamente passato a leggere, o a costruire piste per macchinette sulla ghiaia del giardino. Lo passai invece a traghettare a spalle un’enorme teglia da fornaio in compagnia del figlio della domestica, un ragazzo poco più grande di me che veniva cooptato nel caso di imprese impossibili: come fare le meringhe, per l’appunto. Non so chi avesse consigliato a mia madre di farle cuocere nel forno del panettiere, anziché in uno dei due di cui era dotata casa nostra: ricordo ancora l’aria carica d’emozione in cucina, che dava la misura di quanto quella scelta fosse inconsueta.

Facemmo un primo giro forno-casa, a teglia vuota, baldanzosi come potevano esserlo due bambini incaricati di un trasporto eccezionale in una piccola città, nella quale era impossibile passare inosservati e schivare la curiosità degli altri. Ragion per cui al secondo giro – impettiti come granatieri di Sardegna per mantenere la teglia in perfetto equilibrio – tutti ci conoscevano già. E soprattutto conoscevano il motivo dell’impresa. A quei pochi che non ne erano informati, concedevamo benevolmente di dissipare la cortina di mistero sollevando il telo che copriva le meringhe: e sorridendo soddisfatti ne raccoglievamo i complimenti, perché erano bellissime…

Nessuno ha mai saputo cosa accadde dal panettiere: si pensò a una vendetta della fornaia nei confronti del marito che era solito chiamarla befana, a un garzone bocciato anni addietro da mia madre, alla concomitante cottura di alcuni polli arrosto nella stessa infornata… Ma nessuna spiegazione fu considerata convincente. Ci convincemmo invece all’istante che l’esperimento non sarebbe stato ritentato, pena un’onta indelebile sulla fedina culinaria di nostra madre.
L’ultimo tragitto, il terzo, quello che avevamo accarezzato con la nostra immaginazione di bambini come il più trionfale della giornata, fu un percorso ben più lungo e tortuoso: perché cercammo di evitare tutte le vie conosciute, gli incroci con i capannelli di vecchiette, i bar con i clienti seduti all’aperto. Ma in una piccola città non è che di percorsi alternativi ne avessimo tanti a disposizione… così ci toccò la vergogna, reiterata ogni volta che mani curiose sollevavano un lembo di quel telo per controllare come fossero venute le ormai notissime meringhe.

Quando arrivammo a casa, la visione straziante fu sotto gli occhi di tutti: uno strato sottile e uniforme, di color marroncino. Se non avesse avuto delle crepe più scure, si sarebbe detta una farinata bruciacchiata… in ogni caso: un autentico orrore. Elaborammo il lutto in men che non si dica: mia madre è sempre stata dotata di una generosissima e contagiosa riserva di autoironia. Ma negli annali di famiglia l’argomento “meringhe” venne definitivamente archiviato tra le imprese impossibili da non ritentare.

Solo qualche mese fa, per quel senso di sfida che ogni tanto mi prende, ho deciso che era venuto il momento di riprovarci. E poiché di impresa impossibile si trattava, tanto valeva tentarla con spirito d’avventura: armata solo di frusta a mano. Ho scoperto così che fare le meringhe è semplicissimo.

E adesso ho un solo rimpianto: non poter sfilare davanti a tutti con delle meringhe fatte da me, poggiate su un’enorme lastra da forno… perché quel forno non c’è più. E una domanda: mamma, ma dove l’avevi presa quella ricetta?

LE MERINGHE DELLA RIVINCITA

INGREDIENTI

albumi: 4
zucchero semolato fine: 160 gr (più o meno…)
succo di limone: mezzo cucchiaino da caffé

Tirate fuori le uova dal frigo in anticipo: devono essere a temperatura ambiente.

Sgusciatele facendo in modo che neanche una goccia di tuorlo finisca tra gli albumi, ed eliminate anche le calaze (quella specie di grumi schifosetti che non riescono mai a dissolversi in cottura).

Iniziate a sbattere gli albumi con il succo di limone, con movimenti lenti e ampi per incorporare più aria possibile.

Quando il volume degli albumi è almeno triplicato iniziate ad aggiungere lo zucchero (circa un quarto del totale) e continuate a montare accelerando gradatamente il ritmo. Proseguite con le aggiunte di zucchero, sempre poco alla volta e smettete quando gli albumi saranno montati a neve ferma… anzi fermissima. Cioè dovete rovesciare la frusta e controllare che la neve formi delle punte perfettamente stabili: modello stalagmiti, insomma.

Accendete il forno a 120° e foderate con carta forno una teglia da biscotti.

Riempite delicatamente con il composto una sacca da pasticciere, sulla quale avrete montato una bocchetta di media grandezza: aiutatevi con una spatola di quelle morbide per non strapazzare la meringa.

Disegnate le meringhe con dei movimenti concentrici, avendo cura di distanziarle un po’ tra loro. Cercate di farle regolari, così la cottura sarà uniforme.

Infornatele a 120° per cinque-dieci minuti, poi abbassate il forno al minimo e cuocetele per circa un’ora. Non fatele scurire, devono solo asciugarsi: per cui – anche stavolta – sui tempi di cottura dovete vedervela voi…

———————————-

SUMMA MERINGHIANA
(per farla più semplice di quel che si dice in giro…)

1. albumi
– a temperatura ambiente, così montano più in fretta
– senza la minima traccia di tuorlo e senza calaze
– con qualche goccia di succo di limone (per meringhe bianche che si montano più facilmente)
– senza sale (Dario Bressanini ci spiega, da chimico, che non serve)

2. zucchero
– non è necessario usare zucchero a velo (quello in commercio contiene anche aromi e un po’ di amido)
– dello zucchero semolato fine funzionerà a perfezione, ma in definitiva, scegliete quello che preferite, o che avete a portata di mano.

3. rapporto albumi/zucchero
Ho perso un sacco di tempo a seguire le raccomandazioni più disparate: troverete persino chi sostiene che sia indispensabile pesare gli albumi perché il rapporto con la quantità di zucchero dev’essere esatto. Io ho verificato che non serve: semplicemente, più zucchero mettete più le vostre meringhe saranno dense e croccanti. Perciò 20 grammi in più o in meno non fanno la differenza. Ho imparato che posso benissimo non pesare gli albumi e variare la quantità di zuccchero a seconda di quanto voglio che siano dolci le mie meringhe… Comunque, il mio rapporto base è di 40 gr di zucchero per ogni albume.

4. ciotola per montare gli albumi
– di acciaio, vetro o ceramica (la plastica non è mai perfettamente sgrassata…). Meglio non di alluminio o di ferro, perché gli albumi si scuriscono.
– pulitissima (avrete capito che i grassi non aiutano)
– grande a sufficienza (il volume degli albumi aumenta fino a otto volte)

5. volume degli albumi e zucchero
– il volume degli albumi diminuisce se aggiungete lo zucchero da subito
– aggiungete lo zucchero poco alla volta: per queste dosi, diciamo che in 4-5 volte ve la cavate

6. frusta e fruste: come montare?
Non fatevi idee sbagliate: non stiamo parlando di equitazione… né di altro… La questione è quale metodo scegliere tra la frusta a mano e quelle elettrichePersonalmente trovo che gli albumi si montino meglio a mano, ma non escludo che la mia dotazione tecnologica al riguardo sia così datata da non consentirmi di apprezzare al meglio innovazioni più recenti…
Se montate a mano, va benissimo la frusta normale, di fili d’acciaio, ovviamente pulitissima. Dovete iniziare con movimenti lenti e molto ampi, per incamerare più aria possibile, e accelerate solo quando vedrete un bel po’ di schiuma… ma senza trasformarvi in un robot da cucina: non serve.
Se invece optate per la soluzione high-tech, non so dirvi molto: ne sapete di sicuro più di me…

7. sacca da pasticcere
– indispensabile per formare le meringhe
– sceglietene una piuttosto grande, e riempitela con l’aiuto di una spatola di gomma
– a bocchetta dev’essere di media grandezza, del disegno che preferite voi.

Se una sacca da pasticciere non l’avete mai usata, date un’occhiata a questo video. Se invece avete intenzione di farvi aiutare da vostro marito, ma non volete fargli capire che gliela state facendo pagare per quelle noiose cene di lavoro che vi infligge ultimamente, propinategli questo: imparerà a perfezione. L’unico rischio è che – ipnotizzato da Edna – cominci a usare la sac à poche anche per la schiuma da barba…

8. tempi e temperature di cottura
Altra questione assai dibattuta: se ne sentono (e se ne leggono) di tutti i colori, mentre basterebbe ricordarsi che qui di colore ne serve solo uno: il bianco. Perché l’importante è che le vostre meringhe cuociano senza assumere quel temutissimo color nocciola…
Temperatura: io inizio con il forno un po’ più alto (120°) e poi dopo una decina di minuti abbasso al minimo e continuo per circa un’ora. Le meringhe, più che cuocere devono asciugarsi. Perciò, visto che tanto qui non ci sente nessuno, vi farò una confidenza: io le ho cotte persino a forno spento, dopo che lo avevo acceso ad alta temperatura per cuocervi il pane… ma non ditelo in giro!
Potete aprire lo sportello del forno e controllare tutte le volte che volete: le meringhe non si sgonfiano. Ma non tenetele in forno finché non diventano dure al tatto, perché rischiate di cuocerle troppo. Provate a tirarle fuori dopo un’ora, anche se sono ancora un po’ appiccicosette, e lasciatele asciugare all’aria, oppure spegnete il forno e lasciatecele, ma con lo sportello aperto: quando si saranno raffreddate probabilmente saranno della giusta consistenza. Se così non fosse, riaccendete il forno e cuocetele ancora per un po’…