Gazpacho di anguria, cetrioli e ravanelli

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Gazpacho di anguria, cetrioli e ravanelli

Shhh… non dite a nessuno che sono qui. Sono evasa… Scappata via da imbianchini balbuzienti, falegnami latitanti, afa & zanzare, e persino dalla mia più recente occupazione: nastri, confetti e fiori… Come? … Sì, avete capito bene: ci sarà un matrimonio in famiglia. E io devo dare una mano.

La cosa sarebbe divertente, se non fosse che sull’evento – una semplice, intima cerimonia in un vecchio palazzo tra colline e campagne d’altri tempi – incombe una figura della cui utilità ci domandiamo tutti il fondamento: la wedding planner. Nessuno l’ha cercata e – per dirla proprio tutta – nessuno la vorrebbe, ma pare non se ne possa fare a meno: al giorno d’oggi è impossibile conferire persino con un cuoco, senza averla alle calcagna.

Forte della consacrazione impartita alla categoria da programmi televisivi che andrebbero oscurati, e intimamente convinta che l’intero scibile in materia di “bon ton” matrimoniale sia suo esclusivo appannaggio, la signorina ha fatto del suo lavoro un’autentica missione: trasformare un’occasione gioiosa in un’orgia di americanate da raccapriccio.

A sua parziale discolpa, bisogna obiettivamente riconoscere che questo matrimonio non rientra – a nessun titolo – nella norma di ciò che le viene richiesto di consueto, giacché gli sposi sobri sono oramai come il rinoceronte di Giava e il leopardo delle nevi: una specie a rischio di estinzione. Clienti come noi devono risultarle particolarmente deludenti, avendo disdegnato nell’ordine: partecipazioni variopinte a tema (ce n’era persino una con Anita Ekberg in ammollo nella fontana), addobbi floreali da convention di sceicchi (altezza media un metro), torta di quelle che sembrano fatte di cera Pongo (disponibile anche la versione a pois con fiocco di simil-pizzo commestibile), e una profusione di cordoni di raso, salsicciotti di tulle, strass, perle e frammenti di specchio, possibilmente frammisti a tralci di piante esotiche.

E se tutti i nostri decisi dinieghi davanti al suo campionario di effetti speciali devono averle dato la misura della siderale distanza che ci separa, la madre di tutte le battaglie si è consumata attorno a quella che resterà negli annali di famiglia come “la disfida del neon verde”.

Scabiosa e pratoline

Si dà il caso che nel secolare giardino di monastica semplicità siano apparsi all’improvviso – forse nel tentativo di renderlo più al passo con i tempi – delle inquietanti presenze luminose.
“Solo a te poteva venire in mente di andare a controllare il colore delle foglie!” continua a rimproverarmi mio marito.
Ma a un’appassionata giardiniera – per giunta in crisi di astinenza, in quanto momentaneamente sprovvista di giardino – non poteva sfuggire che nemmeno spruzzate di verderame le edere diventano fosforescenti…. Nascosti tra il fondo dell’aiuola di confine e la siepe di rampicanti, degli orrendi tubi al neon rivestiti di plastica a effetto “fluo” spandevano i loro bagliori velenosi tra i rami indifesi. Avvezzo nei secoli a misurarsi con le consuete insidie stagionali, quel povero giardino si offriva indifeso all’aggressione di una specie a lui del tutto ignota: paragonati al “flagello wedding planner” perfino afidi, oidio e cocciniglia dovevano sembrargli acqua di rose…

“Sono luci segnaletiche?!?” ho chiesto incredula davanti a cotanto spettacolo (mi viene sempre difficile arrendermi alla banalità del male, penso fino all’ultimo che ci debba essere una ragione per ogni bruttura).
“Ma signooora… quelli sono effetti luminosi per enfatizzare il verrrde!” mi ha risposto sussiegosa, storcendo la bocca come facevano un tempo certe signore credendo di esser più eleganti.
L’effetto “sora Cecioni” era esilarante, ma l’idea di un giardino trasformato al calar della sera in uno scenario da marziani era una prospettiva inaccettabile.
“Di notte fanno mooolto effetto, sa?”
“Non ne dubito. Ma credo che a noi non servano: avremo tante piccole candele…”
“Le luci colorate sono l’ultima tendenza e abbiamo appena fatto un paio di matrimoni di quelli mooolto, ma mooolto eleganti…”

E’ andata avanti per mezz’ora, parandomi sotto il naso un album di fotografie per le quali ci sarebbe stato da strozzare il fotografo prima ancora dell’addetto alle luci, e spiegando tutti i motivi per i quali un vecchio giardino illuminato dalla luce tremula delle candele dell’Ikea è una roba da poveretti in confronto ai supermatrimoni da “Mille e una notte” che organizza lei. Col tocco di magia del neon verdognolo…

Per nulla al mondo avrei ceduto: lo dovevo a questi giovani sposi. Così l’ho presa per stanchezza, dopo un crescendo di contorsionismi labiali sempre più arditi. “So che lei è una grande professionista: non ho dubbi che riuscirà a trovare… un bravo elettricista! A tutto il resto provvederemo noi.” Ho ragione di credere che mi abbia cordialmente detestato: generosamente ricambiata.

Così passo le giornate a scrivere nomi sui cartoncini e a contare confetti, metri di nastro e spighe di lavanda. Abbiamo trovato una fioraia che sa cosa sono le peonie, i fiordalisi, le scabiose e persino i piselli odorosi. E un pasticciere felice di preparare una torta che non sembri una giostra.

Principessa avrà un paio di scarpe coi tacchi (“Grazie mamma!”) e il Piccolo Principe una cravatta in prestito e i gemelli con le iniziali del nonno che sono anche le sue. La nonna ha in serbo un cappello a sorpresa (“Sennò non mi diverto…” ha annunciato), e la zia ha mollato indigeni e foreste ed è volata fin qua giusto in tempo per non mancare un paio di feste più urbane del solito. Lo zio ha deciso che non si taglierà i favoriti da patriota risorgimentale (“Se mi avete detto che mi danno un tono…”). E io infilerò una scatola di fiammiferi in borsetta, per accendere le candele una a una al calar della sera.

Cento cose fatte, mille da fare e altrettanti pensieri nella testa: danzanti come la luce di cento fiammelle nella notte. Ogni tanto penso anche a quei rampicanti: sono convinta che in cuor loro – perché anche le foglie hanno un cuore – mi siano grati. E se provo a immaginare quanta vita c’è dentro l’aiuola di un vecchio giardino, vedo lucciole e grilli saltare di gioia per la ritrovata oscurità.

Pensateci bene: non piacerebbe anche a voi godervi lo spettacolo di un matrimono a lume di candela da un loggione d’edera finalmente privo di lampeggianti da discoteca?

Saluti e baci,

S.

GAZPACHO DI ANGURIA, CETRIOLI E RAVANELLI

INGREDIENTI (per 4 piccole ciotole)

anguria: 500 gr (di polpa pulita e senza semi)
cetrioli: 250 gr
cipolla bianca fresca: 50 gr
ravanelli: un mazzo
aceto balsamico: 1 cucchiaio
sale fino: 1/2 cucchiaino
angostura
pepe nero macinato fresco
olio extra-vergine di oliva

Mondate la cipolla, lavatela, tagliatela a fette spesse (avete letto bene, stavolta non dovete mettervi gli occhialini di gomma…) e mettetela a bagno in una ciotola di acqua fredda.

Private l’anguria della buccia, mettetela in un piatto pulito (ogni goccia di succo è preziosa) e tagliatela a cubetti, poi  – armati di un coltellino affilato e di pazienza – eliminate i semi. Tutti… senza storie.

Lavate e pelate i cetrioli, tagliateli in quattro nel senso della lunghezza ed eliminate i semi.

Mettete nel mixer la polpa d’anguria e tutto il suo succo, la cipolla scolata e asciugata con un po’ di carta da cucina (la brodaglia all’afror di cipolla non è il massimo…), e due terzi dei cetrioli (tenete da parte il resto per decorare le ciotole).

Lavorate alla massima velocità finché il vostro gazpacho non sarà “finemente granuloso” (non è un ossimoro, ma un’avvertenza per chi non sapesse già che delle verdure crude non prenderanno mai la morbida consistenza di una vellutata). Voglio dire: smettete di azionare il marchingegno non appena vedete che la crema assume un colore omogeneo e non ci sono pezzetti a zonzo.

Aggiungete l’aceto balsamico, aggiustate di sale e lavorate ancora qualche secondo prima di procedere con l’angostura (da dosare a gocce, a meno che non siate temerari).

Tenete il gazpacho in frigo per almeno un’ora, sigillato con della pellicola perché non prenda altri odori.

Servitelo con dei cubetti di cetriolo, fettine di ravanello (vi basterà metà del mazzetto), un filo d’olio buono e una generosa macinata di pepe. E non dimenticatevi di mettere in tavola l’altra metà dei ravanelli, accuratamente spazzolati e lavati, da intingere e sgranocchiare.

Tutto qui. E poi non ditemi che non riuscite a cucinare perché fa troppo caldo…

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Ricetta basic? Allora, qualche raccomandazione…

Cercate gli ingredienti migliori: nel caso di una preparazione che non richiede cottura diventa un imperativo. Impegnarsi sul versante spesa richiede tempo e so benissimo che non sempre ci si può permettere questo lusso. Ma provateci, se ce la fate: ne vale la pena.

Anguria: ne esiste una varietà praticamente senza semi, che offre il vantaggio di essere di dimensioni abbordabili. Se non trovate l’angurietta gentile, fatevi almeno scegliere dal vostro verduraio un esemplare degno di essere trascinato fino a casa: il mio si dà un sacco di arie, bussa, tasta e ausculta manco fosse un dottore alle prese con una bronchite, ma in genere non sbaglia un colpo. E’ grazie alle sue disquisizioni sull’anguria che abbiamo fatto amicizia, e oramai chiacchieriamo di tutto: dalle patate (lui sostiene che quelle buone da friggere sono d’estate) al basilico (“… e si ricordi di stracciarlo con le mani…”. “Ma per chi mi ha preso? Le sembro una che taglia il basilico, io?!?”).

Cipolle: quelle bianche fresche, piatte o tonde fa lo stesso, sono le migliori. Dolci, dolcissime addirittura, se solo avete la pazienza di tenerle in ammollo una mezz’oretta. Acqua fredda, eh?, mi raccomando: come con i detersivi della pubblicità. Senza ammorbidente, però… (non ridete: un’amica di mia madre, giovane sposa, aveva lavato a lungo un branzino col bagnoschiuma per togliergli l’odore…)

Cetrioli: se li pelate con un pelapatate non vi perdete la parte di polpa più verde, quella immediatamente sotto la buccia scura, che è la migliore. Quanto ai semi, io in genere li mangio, ma nel gazpacho finiscono sempre per sfuggire alle lame del mixer e non tutti li gradiscono.

Ravanelli: mai senza le foglie. Perché servono a capire se sono freschi oppure no, e poi perché sono buone (mai provata la crema di zucchine e foglie di ravanello?)

Sale: nelle zuppe fredde tende a sciogliersi “con calma”. Perciò site parsimoniosi, potete sempre riaggiustarlo un attimo prima di servire.

Angostura: io la metto in tutte le preparazioni salate che prevedono un ingrediente dolce: mi pare aggiunga quel po’ di contrasto che nella vita non può mai mancare. Ma potete tranquillamente farne a meno se non vi piace, oppure sostituirla con qualcos’altro di “pungente”.

Frigo: un passaggio al fresco è d’obbligo per “legare” i sapori. Ma non eccedete: preparare questa zuppa per il giorno dopo è un po’ eccessivo…

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