Vellutata di fave e asparagi

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Vellutata di fave e asparagi

(Portoneide, atto secondo)
“Ha visto signora? Il portone s’è guastato di nuovo: stavolta non chiude.” sorride mesto e rassegnato l’inquilino del quarto piano.
“Come sarebbe a dire non chiude? Ma se l’abbiamo riparato due settimane fa!?!” faccio io, lasciando cadere a terra la sacca e la mazzetta dei giornali.
“Cosa vuole… gliel’avevo detto: mica si può pretendere che un portone vecchio funzioni! E’ così da due giorni: non vale nemmeno la pena di chiamare l’amministratore…” e se ne va, toccandosi il cappello con quel gesto antico di ossequio a una signora.

Peccato che io non mi senta affatto una signora. Perché la notizia, ricevuta ancor prima di mettere piede dentro casa, mi ha trasformato all’istante in un’Erinni: una furia, mi mancano solo le serpi tra i capelli.

Vorrei tornare indietro, prendere il primo aereo e dimenticarmi di questo posto in cui si accetta con arcaica flemma tutto ciò che non funziona. Ma guardo il cielo azzurro, tanto agognato nei giorni grigi del Diluvio, e mi dico che no, indietro non ci torno. Ma neppure mi rassegno a quel portone che non chiude: perché nella piazza si prepara una festa di cori, di balli e di cavalli. Accorrerà gente da ogni dove e scorrerà birra a fiumi: con quel che ne consegue… Perciò lo chiamo eccome, l’amministratore.

“Sa signora, non glielo volevo dire… ma quel suo falegname non è che abbia fatto un gran lavoro l’altra volta: ci ho portato il mio, dopo che lei è partita… e mi ha detto che va rifatto tutto daccapo… avrei anche il preventivo…” e misura le pause per dare più enfasi al sospetto.
“Senta, intanto quel falegname non è “il mio”: l’ho solo trovato io perché lei non aveva tempo di mandarne un altro” gli rispondo senza bisogno di pause. “E poi sono stata lì mentre lavorava, visto che lei non aveva tempo di venire, e le garantisco che il portone funzionava. Perciò adesso sa cosa facciamo? Lo richiamiamo, e se non ha lavorato bene provvederà lui.”

Così richiamo il falegname – io, perché l’amministratore potrebbe ma solo a tarda sera – che accorre in men che non si dica: s’è preso a cuore il caso, e la prospettiva che l’androne si trasformi nella toilette della festa atterrisce pure lui…

Me lo ritrovo chino sulla serratura, assorto. La prova e la riprova, con chirurgica precisione, finché si tira su e stila il suo referto: “Signora, questo portone non ha nulla: funziona a perfezione!”
“Com’è possibile?!? Fino a due ore fa nessuno riusciva a chiuderlo, era come bloccato…” e declamo l’elenco dei condomini che hanno preso parte alle prove. Ma l’evidenza è innegabile: l’anta apre e chiude a meraviglia.
Sarebbe una bella notizia, ma sono così affranta che lui mi consola: “Non si preoccupi, forse non l’avrà accostato bene, oppure è ancora spaventata dopo l’esperienza dell’altra volta. Comunque, quando ha bisogno, mi chiami pure…” e mi stringe la mano con un sorriso.

“Io non lo chiamerò più – mi dico – nemmeno se arrivando trovassi il portone divelto”. E rifletto abbacchiata sul fatto che forse sto perdendo il mio equilibrio, quel senso delle giuste proporzioni di cui sono sempre andata fiera… perché far la figura della scalmanata, al punto da vedere un portone rotto che non c’è, non mi era mai successo!

E’ stato il giorno dopo, mentre attraversavo la piazza a passo lento per via della spesa, che ho riacquistato prontamente piena contezza delle mie facoltà. Ho riconosciuto da lontano il barista del locale al pianterreno: armeggiava intento attorno alla serratura – di cui non ha la chiave – con fare alquanto esperto per essere uno che di mestiere dovrebbe occuparsi d’altro.
“Visto signora che bel sistema per bloccare il portone? Mi sto portando in cortile i tavolini – sa il Comune ci ha chiesto di liberare la piazza… – ma per fare avanti e indietro senza star sempre lì a suonare al citofono, ci metto uno stecchino… vede? basta un pezzetto… però della misura giusta… e la serratura non chiude manco se viene il Padreterno!”

Ci sono situazioni nelle quali il timore di scegliere le parole sbagliate mi lascia senza parole. Ma stamattina, quando in cortile ho visto quell’ammasso di tavolini meravigliosamente costellato di cacche di piccione, ho prontamente riacquistato la favella: “Tié!”.

E chiudendomi il portone alle spalle ho sorriso al sole a picco sulla piazza…

S.

VELLUTATA DI FAVE E ASPARAGI

INGREDIENTI

asparagi: 1 mazzo
fave fresche: 4 pugni (sbucciate, sbollentate e private della pellicina)
porri: 1
scalogni: 1 grande o 2 piccoli
timo fresco: un rametto
olio extra vergine di oliva: 3 cucchiai
brodo di pollo: un litro circa (ma potete sostituirlo con del granulare)

Sbucciate le fave (scusate, ma non mi ricordo quante ne ho comprate… diciamo circa un chilo), sciacquatele e gettatele in una pentola d’acqua bollente per 3 minuti. Scolatele, passatele con il colino sotto l’acqua fredda e poi privatele della pellicina (senza mangiarvene troppe mentre lo fate…).

Mondate gli asparagi, lavateli e tagliateli a tocchetti di 4-5 cm, tenendo da parte le punte. Mondate, lavate e fate a fette il porro e gli scalogni.

Fate andare in una pentola a bordi alti un paio di cucchiai d’olio con gli asparagi (tranne le punte), il porro e gli scalogni. Mescolate spesso e quando vedete che rischiano di attaccarsi coprite di brodo a filo e fate bollire per 5 minuti; poi aggiungete anche le punte degli asparagi e le fave decorticate (si dice così?) e continuate la cottura per altri 5, massimo 10 minuti, aggiungendo altro liquido se necessario.

Aggiustate di sale e pepe, aggiungete le foglioline di un rametto di timo e lavorate a crema con il minipimer. Lasciate riposare un po’: come quasi tutte le creme di verdura, anche questa è migliore se preparata in anticipo.

Servite la vellutata calda o tiepida, con delle punte d’asparagi scottate 3 minuti in acqua bollente appena salata, qualche favetta e un filo d’olio.

Se poi ci mettete accanto una bella fetta di un pane rustico, tipo quello alle carote e zucchine, appena tostato e velato di ricotta buona, beh… non serve molto altro per cena. Anzi: servirebbe forse la ricetta del pane alle verdure, ma questo è un altro post…