Pistokkeddos. “…Pisto che?!?”

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Pistokkeddos: savoiardi morbidi sardi

Vi starete chiedendo se io non sia ancora preda dei fumi della febbre, con le meningi sciroccate e l’eloquio stralunato. Nulla di tutto ciò.
Sono viva e vegeta, sopravvissuta al malefico virus e persino al giubileo di mio marito: una settimana di pranzi e cene a ritmi da catena fordista, per festeggiare un compleanno di quelli a cifra tonda. Con corollario di voli, bagagli da fare e disfare, case da aprire e da chiudere… e la constatazione che sembriamo ormai una carovana di nomadi.

Certo una settimana di lavoro in miniera è ben altra cosa, ma io non ho ancora ripreso il mio passo da bersagliere e avverto il peso dei tre piani di scale fatti di corsa quando ho più di due sacchetti di spesa (una di quelle stramberie quotidiane che mi fanno stare bene…). In più mi ritrovo a vagheggiare brodini, per riequilibrare l’overdose di menù festaioli.

Così, nell’impossibilità di tenermi troppo a lungo lontana dal forno ma senza alcuna voglia di cose impegnative, mi sono data agli ultra-leggeri… biscotti, s’intende. E cosa c’è di più leggero di un biscotto senza un grammo di burro, morbido e lieve come un pan di Spagna? Provate a fare questi savoiardi sardi, soffici e molto più grandi degli altri, che nell’isola chiamano pistokkeddos o pistoccus. Solo uova, zucchero, farina, e nemmeno un grammo di lievito. Provateli da soli, o inzuppati nel latte. E provate a farci un tiramisù, una charlotte o una zuppa inglese: insuperabili.

Sono persino facili, a patto di far le cose per bene. Mi spiego: potrei dirvi semplicemente di montare tuorli e albumi separatamente con lo zucchero, mescolarli, aggiungere la farina, formare dei filoncini di impasto e infornare. Fine della ricetta. Ma a meno che non siate dei pasticcieri – o una di quelle ziette sarde espertissime in materia – dubito che questi savoiardi vi riuscirebbero della fragranza giusta: cioè morbidi ma non mollicci e soffici da non credere. Perché questo è uno di quei casi da scuola, l’esempio tangibile di come una ricetta semplicissima abbia bisogno di una serie di piccoli gesti, di attenzioni, di cura dei particolari.

Perciò scusate la pedanteria, ma io ci tengo a farvi gustare dei savoiardi come si deve: anche se siete alle prime armi in cucina. Non me ne vogliano i cuochi provetti se il mio spirito divulgatore mi fa correre il rischio di farli addormentare davanti allo schermo…

PISTOKKEDDOS

INGREDIENTI

farina bianca 00: 100 gr
zucchero semolato fine: 100 gr
uova: 5
succo di limone: mezzo cucchiaino
acqua di fior d’arancio: un cucchiaino

Tirate fuori le uova dal frigo con almeno mezz’ora di anticipo, se non volete impazzire per montare gli albumi. Accendete il forno a 180° e foderate di carta forno una grande teglia per biscotti.

Montate a lungo i tuorli con 50 gr di zucchero e l’acqua di fior d’arancio: devono diventare chiari, schiumosi e aumentare un po’ di volume (servitevi delle fruste elettriche o di un mixer e lavorateli a lungo).

Montate gli albumi con gli altri 50 gr di zucchero e il succo di limone: utilizzate il metodo che volete, ma devono essere a neve ferma, anzi fermissima… avete presenti quelle barbe di ovatta con le quali vi trasformavano in San Giuseppe alla recita di Natale? Ecco, non smettete finchè non vedete qualcosa del genere.

Incorporate gli albumi nella crema di tuorli poco alla volta, mescolando delicatamente dall’alto in basso, con movimenti ampi: non dovete smontarli.

Aggiungete al composto la farina, poca alla volta, facendola scendere da un setaccio (o da un colino fine, se non ce lo avete… ma vedete di comprarvelo al più presto). Anche qui, dovete fare la massima attenzione a non smontare l’impasto: perciò setacciate un po’ di farina, date qualche rimestata dall’alto in basso con mano molto leggera, poi aggiungetene dell’altra e così via…

Mettete il composto in una tasca da pasticciere, con bocchetta tonda liscia piuttosto grande (diciamo 18-20 mm), e formate sulla teglia delle strisce larghe 3 cm e lunghe 12 (non state lì col righello, ma insomma… vedete di fare un lavoretto preciso). Distanziatele tra loro, perché pur non avendo lievito crescono in cottura. Spolverizzatele con un po’ di zucchero a velo servendovi di un colino e infornate.

Cuocete i biscotti per circa un quarto d’ora (ben sapendo che sui tempi di cottura vale la regola “finchè non li vedete appena dorati”…). Poi spegnete il forno, ma lasciateli ad asciugare altri cinque minuti a sportello chiuso e poi altri cinque a sportello aperto. Insomma, non amano passare dal caldo al freddo in un secondo: se lo fate, si ribellano afflosciandosi inesorabilmente. Il sapore non cambia, ma la brutta figura con la vecchia zia alla quale li avete promessi ce la fate voi…

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Un modulo replicabile quasi all’infinito
Dopo una lunga serie di sperimentazioni, fusioni tra ricette varie e ripetuti assaggi, ho scoperto che per questi – come per altri biscotti – non esistono delle vere e proprie dosi, ma piuttosto una sorta di “proporzione aurea” tra ingredienti: 1 uovo, 20 grammi di zucchero, 20 grammi di farina, qualche goccia di aromi. Non avendo lievito, non sussiste nemmeno il problema di dosare quei due grammi in più o in meno di polverina che segnano la differenza tra dei biscotti duri come pezzi di coccio o insulsamente spugnosi e mollicci.
Qui la leggerezza dipende tutta da un unico ingrediente, un raro unguento ormai del tutto trascurato dai libri di cucina eppure meritevole di gloria, non foss’altro perché è l’unico grasso che non fa ingrassare: l’olio di gomito.
Potete – e ve lo consiglio – utilizzare un mixer o le fruste elettriche per montare i tuorli con lo zucchero, ma nulla sostituirà il ritmo inesorabile del vostro polso per trasformare in una spuma soffice e corposa gli albumi. Può darsi che questo sia un mio vezzo, ma trovo che nulla li monti meglio della classica frusta d’acciaio opportunamente brandita: cioè con movimenti ampi e lenti all’inizio, che si fanno più veloci solo quando gli albumi sono già bianchi.

Di forni, teglie e penne d’oca…
Con queste dosi otterrete circa un paio di teglie di biscotti. Il che significa cuocerne prima una e poi l’altra, oppure infornarle assieme su due livelli diversi e poi scambiarle di posto dopo una decina di minuti. In entrambi i casi, sappiate che dovrete sacrificare qualcosa: nel primo, avrete una metà dei biscotti perfetta e l’altra più bassina (perché il composto si affloscerà un po’ in attesa di entrare in forno). Nel secondo, vi ritroverete con dei biscotti mediamente gonfi, perché si ribelleranno alla brusca uscita dal forno per cambiare di posto alle teglie (caso documentato dalla foto qui sopra).
In definitiva: fate voi. Ben sapendo che per la perfezione assoluta servirebbe uno di quei forni di campagna di un tempo, capaci di accogliere ben più di un paio di teglie per volta. Ma sarebbe un’altra epoca, non ci sarebbe Internet, e non potrei scrivervi senza un calamaio e una penna d’oca…

Questi biscotti sono di…
La ricetta iniziale mi è arrivata da una signora sarda, una di quelle dedite all’arte di far dolci e biscotti per ogni occasione. Prevedeva una quantità di uova maggiore, che io ho nel tempo diminuito fino ad arrivare alle proporzioni indicate. Solo oggi, cercando in rete l’esatta denominazione in sardo, ho scoperto che Pinella li fa praticamente allo stesso modo: ed è stata una piacevole conferma