Oggi ho le cavolagne

http://www.fragoleamerenda.it/author/sabrine/

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Non è che andar per negozi mi appassioni più di tanto… anzi, di solito mi annoia abbastanza. Il fatto è che, dopo settimane di cattività forzosa causa freddo polare, la prima giornata di sole riesce a trasformare in un’imperdibile attrazione persino gli ultimi saldi. Passeggiare per la città sapendo di potersi infilare in un posto caldo ai primi sintomi di congelamento è un’alternativa allettante alla corsa al parco, per la quale bisognerebbe almeno dotarsi di una fiaschetta di grog.

Così mi prendo la mia ora d’aria, e con l’occasione faccio una visita a quei tre-quattro negozi che frequento a cuor leggero giusto ai saldi. Sono di quelle boutiques ovattate, dove vi accolgono vampate di parfum d’ambiance da far girar la testa, stuoli di commesse svettanti come modelle, fiori freschi alti un metro e una variopinta fauna internazionale a caccia di made in Italy. Ma con la crisi persino la clientela di livello è latitante, sicché il personale accorre in massa quando vede arrivare quelli che il portafogli ce l’hanno stampato in fronte.

In cerca di pantaloni, entro in uno di questi templi contemporanei. Ne scelgo due paia e mi dirigo – accompagnata da passi felpati e musica di sottofondo – verso la cabina prova: la mia commessa attende fuori. Mentre mi cambio sento un baccano indefinibile, accompagnato da latrati: e quando esco per andarmi a specchiare mi trovo davanti una scena da film…

Lei, un metro e ottanta compresi gli stivali con zeppa e stiletto, stoppa ossigenata in testa, cappotto con bordi di pelliccia di guanaco, frange e catene sparse tra accessori vari, ha accumulato una montagna di capi da provare che tre commesse faticano a gestire. A tracolla ha una borsa con dentro uno di quei cani che sembrano scimmie lillipuziane, con collare Vuitton e fiocco leopardato. Lui ha un brillante grosso come una nocciola al dito, un tatuaggio con un pugnale al polso e un collo del diametro di un gasdotto siberiano che fuoriesce da doppiopetto e t-shirt: la poltroncina anni ’50 fatica a contenerlo e – certamente vittima di miei preconcetti – immagino che sia uno di quegli uomini d’affari (ramo gas o petroli) un tempo ospiti delle galere sovietiche, che adesso vanno per la maggiore in certi ambienti.

Il negozio è in subbuglio, perché hanno invaso di pacchi griffati tutto lo spazio antistante i camerini. Lei prova gli abiti, lui commenta in un qualche idioma slavo, il cane abbaia in falsetto e le commesse corrono premurose.

Mi guadagno a fatica una striscia di specchio, in condivisione con madame, e vedo di sbrigarmi. Così rientro in cabina, porgo i pantaloni appena provati alla commessa e faccio per prendere i miei… spariti.

Sulle prime penso a un mio stordimento, da troppa confusione e troppi specchi. Poi sento un guaito, istintivamente mi chino a guardare sotto l’orlo della tenda di velluto… e li vedo. Percorro con lo sguardo quel lembo di stoffa conosciuta e arrivo dritta sul muso della scimmia lillipuziana, che mi guarda infida con i miei pantaloni tra i denti.

Sono furente. La mia commessa è scomparsa per soccorrere le colleghe (i capi della signora formano ormai un covone) e io – con la testa fuori dalla tenda – non riesco ad attirare la sua attenzione. Medito persino di uscire in déshabillé: ma la prospettiva di finire in cronaca locale per aver litigato in mutande e mocassini con un cane russo in una boutique del centro non mi arride…

Passano cinque minuti buoni prima che qualcuno si accorga della mia faccia appesa al velluto cremisi: trafiggo la commessa con uno sguardo e le sibilo: “Gli dica di restituirmi i pantaloni…”. Ma la poveretta, che correttamente ha individuato il personaggio più temibile del terzetto, si gira di scatto verso monsieur e poi di nuovo verso me, con occhi imploranti: forse teme che lui le spezzi l’osso del collo con due dita, come le spie del KGB alla tivù. Così replico il sibilo e scandisco: “Non lui: il ca-ne.”

Dopo un bel po’ di gazzarra, con l’armadio tatuato che tuonava ordini alla bestiola, lei che se la stringeva al petto e quella che ringhiava dispettosa, mi hanno restituito i pantaloni: con un’orribile striscia di bava lungo una gamba.

Sono uscita in tutta fretta, mi sono infilata tra gli alberi secolari del parco lì vicino e per mezz’ora ho guardato in cagnesco tutti i cani di taglia mignon. Poi sono entrata in un negozio di scarpe, e ho sorriso alla commessa: ” Vorrei quegli stivali verde broccolo, per favore”.

Lei mi ha guardato un po’ così, come si guardano i clienti un po’ strambi ai quali tocca sempre dar ragione, e io ho pensato: “Non si stupisca più di tanto: lei non sa che gente c’è in giro, signorina…”

 

OGGI HO LE CAVOLAGNE

INGREDIENTI

pasta fresca per lasagne: 6 sfoglie (cioè mezza confezione)
cavoli romaneschi: 2 di media grandezza (scordatevi il peso…)
ricotta: 200 gr
pecorino romano grattugiato: 50 gr
latte o brodo vegetale: 100 ml circa (per tener morbido l’insieme)

per la crema:
latte: 600 ml
uova: 1
pecorino romano grattugiato: 2 cucchiai
maizena: 4 cucchiai rasi
sale

Mondate i cavoli, lavateli, divideteli in cimette e lessateli per qualche minuto in acqua leggermente salata. Non cuoceteli troppo: devono essere appena croccanti (primo perché le verdure moscie sono un crimine e poi perché tanto li ripassate in forno…). Scolateli e teneteli da parte.

Preparate la crema: sciogliete la maizena in un po’ di latte freddo, lavorate bene l’uovo e il pecorino in un pentolino, poi versatevi la maizena sciolta e il resto del latte e cuocete a fuoco dolce (mescolando continuamente) finché non inizia a rapprendersi. Salate appena e fate intiepidire.

Prendete una teglia da lasagne, versate sul fondo un velo di latte (o di brodo vegetale) e stendete il primo strato di sfoglie di pasta che farcirete con cimette di cavolo, tocchetti di ricotta, un po’ di pecorino grattugiato e infine 1/3 della crema. Continuate così fino a ottenere tre strati, riservando per quello finale un po’ più di pecorino che garantirà quella crosticina che nelle lasagne ci piace tanto… Per evitare che l’insieme rimanga troppo asciutto (e che la pasta si secchi in forno, anziché cuocere), aiutatevi nella farcitura con un po’ di latte o brodo.

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Del taglio del cavolo…
Che non è un taglio mal fatto, bensì l’operazione di suddivisione in cimette di cavolfiori, broccoli e cavoli romaneschi. Non vi sembri una sciocchezzuola da signorine inclini a manierismi senza senso: le verdure tagliate in pezzi regolari cuociono uniformemente e si scolano senza diventare un pastrocchio. In più sono più carine a vedersi. E per favore, non obiettate che tanto finisce in pancia tutto assieme: questa è solo una vecchia scusa, che non tiene…

Lasagne leggere: sfatiamo l’idea che siano un ossimoro
Vi sarete accorti che questo non è un piatto ricco, ma una versione molto “alleggerita” di lasagne vegetariane. Verdure bollite (potete usare anche i broccoli), una finta Béchamel (la mia crema leggera al formaggio che trovate anche qui e qui), ricotta e latte per condire. Messa giù così può forse sembrarvi una cosa tristanzuola, ma vi garantisco che non lo è affatto: sono lasagne buone, che tornano utili dopo l’orgia di zeppole e fritture varie di Carnevale.
Una precisazione – doverosa – sulle dosi: quelle indicate sono il “minimo sindacale” perché queste possano definirsi lasagne. Vale a dire: da qui in su, va tutto bene. Perciò se non siete a dieta, potete aggiungere altro pecorino, e magari fiocchetti di burro e altri formaggi tra uno strato di pasta e l’altro; così come potete saltare le verdure in padella, con uno spicchio d’aglio e un filo dolio; o farvi una vera Béchamel. Fate voi… a me faceva piacere dedicare un post alle tante persone desiderose di leggerezza a tavola. E stracciare finalmente quel foglietto che vagava in cucina…