Gelatina di anguria

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Gelatina d'anguria

Detesto l’ascensore. Non solo per quel lieve senso di claustrofobia che mi assale appena si chiudono lo porte. Nè perché mi tocca condividere un metro cubo d’aria con il sigaro dell’architetto del primo piano e la pelosissima coda agitata del suo cane. La realtà è che mi infastidisce il concetto di ascensore: l’idea di non farcela senza un aiuto, il pensiero di dover ricorrere a qualche dispositivo “extra” per elevarmi.

Così, per pura testardaggine o – se preferite – per senso della sfida, mi faccio regolarmente a piedi quattro piani di scale (anzi cinque, perché uno vale doppio…). Fino a un massimo di tre sacchetti di spesa vado quasi di corsa: perché mi pare che fatte con lentezza le scale mi pesino di più (dev’essere questione di dna: correva per le scale anche mia nonna…)

Tra il primo e l’ultimo pianerottolo, mentre mi concentro sul ritmo per arrivare fino in fondo, penso sempre che non usare l’ascensore costringe ad essere essenziali: a comprare solo lo stretto necessario, a non sentire le lusinghe dei tre-per-due e delle raccolte punti del supermercato, a bere acqua del rubinetto, a usare un solo detersivo… e così via. Insomma: quando sono indecisa su un acquisto mi chiedo: “Vale la pena di portarmelo su per quattro piani di scale?”. E credetemi: funziona.

Nel mio nuovo quartiere il mercato rionale è il lunedì. Questo significa niente pesce fresco e… niente fichi. Almeno: solo fichi mezzo svenuti.

“Signora è lunedì… e poi ci sono trenta gradi!” mi ha detto il mio bancarellaro preferito davanti a dei cestini di fichi di mezza età. “Però ho un’anguria che è una meraviglia…”
“Ma io devo fare la marmellata di fichi… E poi, la stagione dell’anguria non è passata?”
“Ma questa è un’anguria di Mantova…” mi ha risposto con un certo sussiego sguainando una specie di scimitarra.
E io me ne sono invaghita al primo assaggio (del cocomero, mica del fruttivendolo spadaccino…). Per dirla con parole mie: ho deciso che valeva la pena di portarmelo per quattro piani di scale.
“Certo, signora, non ci può fare la marmellata…”
L’ho infilato nella sporta a rete e mi sono incamminata a passo da bersagliere sotto il sole a picco.

Centosettantacinque scalini con tre sacchetti di frutta e verdura, mi hanno consentito qualche riflessione in più rispetto al solito. Per esempio: perché dovevo arrendermi a un fruttivendolo, seppure armato di scimitarra, e desistere dal cucinare un cocomero?

Mentre aprivo il portone, il programma del pomeriggio aveva già un titolo: “giochi d’anguria”. Divertimento puro, con tutti i sensi all’erta: proprio come per quelli che da bambini chiamavamo “giochi d’acqua” (erano riservati alle occasioni speciali, richiedevano un esplicito permesso di nostra madre e ci potevamo bagnare con il tubo di gomma del giardino… non potevamo dirigere il tubo verso una finestra aperta, ma succedeva…)

Gelatina d'anguria

Ho impiegato mezza giornata a scoprire in quanti modi potevo trasformare un’anguria: che era così buona da meritare di essere mangiata man mano che la tagliavo. Il rumore croccante della polpa sotto la lama del coltello, il succo rosa nella ciotola e sul piano di marmo, semi neri dappertutto, e una montagna di bucce variopinte… pura felicità, mente leggera. E senso della sfida: che nella mia cucina va sempre a braccetto con il divertimento.

Così ho appurato che l’anguria, nonostante il suo scarso contenuto di pectina, si può trasformare in una fantastica gelatina: una di quelle che non trovate sugli scaffali del supermercato e che solo per questo varrebbe la pena di provare a fare. Quanto al suo impiego, non avete che l’imbarazzo della scelta: potete lasciarla scivolare sul vostro gelato o su una ciotola di yogurt compatto, spalmarla su una fetta imburrata di pane tostato (il mio era un pane rapido alle banane che forse meriterebbe un post…). Oppure servirla con dei formaggi stagionati o del fois gras

In ogni caso, non buttate quel che resta della polpa d’anguria dopo il passaggio alla centrifuga: tenetelo in una ciotola e mettetelo in frigo insieme all’ultima fetta ancora intatta. E abbiate fede: questo è un post in tre puntate (ravvicinate…).

D’altronde, non penserete che abbia portato un’anguria per quattro piani di scale perché finisse tutta in un vasetto di gelatina? Ve l’ho detto: evitare l’ascensore costringe ad essere essenziali. E a trarre il massimo da ogni cosa: fosse anche un comunissimo cocomero, seppur della rinomata stirpe di Mantova.

La Cocomereide atto primo termina qui. Ci sentiamo prestissimo (non ho mica intenzione di farvi inacidire l’anguria in frigo…).

E adesso vado a mettere l’agenda e un cambio nella borsa: mi aspetta un aereo. Ma è come se stessi già volando: l’anguria e i suoi colori psichedelici regalano una certa, leggera euforia. Al punto che solo adesso mi accorgo di quel piede immortalato sulla ciotola… Lo so, non c’è galateo al mondo che preveda un saluto del genere: ma che ci volete fare? Ormai non posso che lasciarlo lì dov’è: sospeso a mezz’aria. Però con uno smalto color cocomero…

Saluti e baci,

S.

GELATINA DI ANGURIA

INGREDIENTI

succo di anguria: 500 gr (vi serviranno circa 2 kg di anguria)
zucchero semolato fine: 150 gr
limoni: 2
mele: 2
acqua di rose: 2 cucchiai (oppure del porto, se preferite una versione “macho”)

Private l’anguria della buccia, fatela a pezzi e toglietele i semi aiutandovi con un coltellino: ci vuole un po’ di tempo… diciamo pure un bel po’… perciò sappiatelo prima di cominciare e attrezzatevi come credete, consapevoli del fatto che questo è un esercizio zen a tutti gli effetti.

Quando avrete davanti una meravigliosa montagna di polpa d’anguria, passatela alla centrifuga per estrarne il liquido (in assenza di una centrifuga potete armarvi di un setaccio fine e di un cucchiaio: funziona benissimo, ci vuole solo di più…).

Filtrate il succo di anguria, pesatene 500 grammi, e mettetelo in una pentola d’acciaio con lo zucchero, l’acqua di rose e il succo dei limoni (anche questo filtrato, please).

Lavate le mele, tagliatele in otto spicchi ciascuna senza privarle della buccia nè dei semi, mettetele in un pentolino e copritele a filo d’acqua. Fatele bollire per circa 10 minuti (devono essere tenere ma non disfatte), poi rovesciatele in un colino e – premendo delicatamente – raccoglietene il liquido (che sarà ridotto a circa 6-8 cucchiai).

Aggiungete il liquido di cottura delle mele al succo di anguria. Fate bollire a fuoco vivace per circa 30-35 minuti, mescolando spesso. A questo punto la gelatina dovrebbe iniziare ad ispessirsi (ma non aspettatevi la consistenza di una marmellata, questa è tipo uno sciroppo denso).
Travasatela ancora bolllente in un vaso di vetro e lasciate raffreddare. Se dopo qualche ora (meglio dopo una notte) la gelatina è ancora troppo liquida, potete rimetterla sul fuoco per altri 5 minuti.

Conservate la vostra gelatina di anguria in un vaso di vetro, sigillata e rigorosamente in frigo. Non vale la pena di mettersi a sterilizzarla: con queste dosi ne otterrete non più di un vasetto… E vi assicuro che non arriva alla mezza età…

POSTILLE

Qualche nota tecnica…
Mele: non schiacciatele troppo, altrimenti la polpa passa attraverso le maglie del colino e vi ritrovate con una gelatina torbida (sempre buona ma meno carina…)

Acqua di rose?
La gelatina d’anguria non sa “di anguria”: dati i tempi di cottura, si sente distintamente il sapore dello zucchero caramellato. Perciò un qualche profumino ci sta bene. Come sempre nella vita, avete più di una strada dinanzi a voi: l’acqua di rose è la mia preferita, le dà un certo non so che da signorina… Ma se volete una versione più “maschile” va benissimo anche un po’ di porto. Potete sempre invocare le quote rosa per assaggiarla pure voi….

Le mie ricette di frutta spalmabile preferite:
gelatina di mele
gelatina di melagrana
marmellata di corbezzoli