Il pane del reverendo Graham

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Graham bread

Avrebbe fatto tutta la vita l’insegnante se la salute glielo avesse permesso. Ma Sylvester Graham fu costretto a riconsiderare il suo futuro. Perciò decise di studiare da pastore, prese moglie e diventò un predicatore.
Chiariamoci: non è che occorresse star chini sui libri per portare al pascolo il bestiame. Ma lui voleva pascolare le anime, per condurle sulla retta via e scongiurare che si smarrissero nei meandri della perdizione.

Non era un’idea così balzana: nascere a fine Settecento diciassettesimo figlio di un ecclesiastico calvinista vecchio quanto Matusalemme doveva pur avere un certo peso, nelle scelte di un ragazzo. Il quale – forse perché un barlume di giovanile fervore in quel suo fragile corpo in fondo c’era – ben presto s’infiammò di passione per l’unica virtù che proprio nella guerra a ogni passione trova fondamento: la Temperanza.

Il giovane Sylvester cominciò così a predicare la moderazione, eletta a principio cardine di un intero sistema di vita: in società, a tavola e persino in camera da letto. La sua idea era che ogni eccesso in grado di stimolare il corpo mettesse in serio pericolo anche l’anima: il che, com’è noto, conduce dalla luminosa via della moderazione all’oscuro viottolo dell’astinenza.

Si mise in testa di riformare la società partendo dalla dieta e da prescrizioni igieniche precise. Così iniziò a tenere pubbliche orazioni in Pennsylvania per conto della “Società per la Temperanza” (fa ridere, ma esisteva…) nel corso delle quali metteva in guardia dai pericoli dell’alcool. Ma la sua crociata si estese ben presto a un più ampio fronte di nemici, pericolosi attentatori di una vita salutare e moralmente irreprensibile. Grassi ragù di carne, liquori e spezie furono messi al bando, così come tabacco, tè e caffè: tutti colpevoli di energizzare membra stanche e di allentare i freni inibitori.
Per le attività coniugali, invece, fu stabilito un limite: una volta al mese, il minimo sindacale per non rischiare l’estinzione della specie (il che, dopo tanta fatica creatrice, non sarebbe piaciuto nemmeno al Padreterno).

Se la prese anche con i corsetti femminili, perniciosi a suo dire almeno quanto il cioccolato e i pasticcini. Il suo ardore per la causa era così contagioso che le signore, accorse ai suoi comizi intimamente accessoriate come si conveniva all’epoca, si liberavano della lingerie seduta stante e i suoi accorati appelli alla temperanza finivano in un tripudio di lanci di biancheria.

Ora, nonostante si fosse nell’America d’inizio Ottocento, non è che fossero tutti lì ad aspettare che arrivasse lui a far la paternale a ghiottoni e peccatori. Le sue orazioni sulla castità, pur finalizzate a un intento virtuoso, provocavano regolarmente malori e svenimenti al solo evocare certe pratiche (le signore pare non avessero alternative: o gettavano per aria il corsetto o si afflosciavano prive di sensi sulla sedia).
E a Boston fu una folla di panettieri inferociti ad assalirlo, per quel che andava dicendo in giro sul pane bianco prodotto industrialmente (detto fra noi: aveva ragione lui…).

Certo, il caro Sylvester non doveva essere un tipo facilmente digeribile, a dispetto delle sue preoccupazioni salutiste. Aveva una visione decisamente apocalittica dell’esistenza ed era ossessionato dall’idea che una dieta rigorosa potesse prevenire ogni male. Ma fu a suo modo capace di intuizioni geniali e, per quel tempo, rivoluzionarie.

I suoi ragionamenti avevano spesso bizzarri fondamenti. Spiegava a folle di carnivori impenitenti che, se uomini e oranghi erano tanto simili, non c’era motivo per cui una dieta vegetariana che funzionava per le scimmie non andasse altrettanto bene per gli umani. Dimostrava che chi mangiava carne si ammalava di più, e a chi gli faceva notare che gli Indù erano vegetariani ma morivano facilmente di colera, rispondeva che quelli mangiavano troppe spezie… e poi non erano virtuosi.
Predicava una scrupolosa igiene personale, l’uso di materassi rigidi, e la panificazione casalinga: l’unica in grado di preservare i consumatori dalle sofisticazioni dei panettieri imbroglioni di città.

Graham bread

L’ideale, secondo il buon Sylvester, sarebbe stato che ciascuno potesse avere il totale controllo sugli ingredienti delle proprie pagnotte. Ma anche i suoi seguaci più ortodossi avevano dei limiti: nell’impossibilità di coltivarsi il proprio grano, stoccarlo in casa e macinarne di volta in volta quel che serviva, dovevano pur ricorrere a farine prodotte da altri. Così lui s’inventò la Graham flour, ottenuta macinando separatamente le varie componenti dei chicchi di grano. Non soddisfatto, mise a punto la ricetta dei Graham crackers (delle gallette in origine assai morigerate, ben diverse da quelle con cui oggi si prepara la cheesecake), e quella del Graham bread, un pane ad elevato contenuto di fibre. E si premurò pure di scrivere un trattato sulla panificazione.

La questione gli stava così a cuore che per dimostrare che il pane bianco e morbido (un velenoso regalo che la Rivoluzione Industriale aveva fatto all’umanità) rammolliva la gente, si mise a intervistare dei rudi cacciatori di balene, convinti che le pagnotte stantie che mangiavano per mare contribuissero al loro vigore. Insomma, perché il suo regime dietetico conducesse a una vita davvero salutare – e moralmente irreprensibile – servivano letti e pagnotte duri come sassi…

I suoi seguaci si organizzarono a migliaia, stampando i testi delle sue conferenze, gestendo mulini e perfino pensioni che garantivano agli ospiti uno standard di “purezza” sotto ogni profilo. Ma il bizzarro “sistema Graham” passò presto di moda: forse perché nessun vero peccatore ama essere paragonato a un banale goloso, e i golosi non amano sentirsi peccatori.

Graham bread

Il caro Sylvester, dopo anni da talebano trascorsi a caccia di piaceri da additare come peccati, finì i suoi giorni anzitempo: morì poco più che cinquantenne, a dispetto di tutte quelle orazioni piene di divieti, che promettevano lunga vita in questo mondo prima ancora di quella eterna.

Le signore tornarono a credere nelle frizzanti costrizioni della lingerie e i fornai continuarono indisturbati ad adulterare le pagnotte, sempre più bianche, morbide e finte.
Ma resta il fatto che saremmo tutti un po’ meno salutisti, meno tendenzialmente vegetariani, e meno attenti a quel che mangiamo se non fosse stato per il bizzarro reverendo Graham.

Per questo – io che non amo gli esagitati di alcun genere (tantomeno in cucina) – mi sono appassionata a questa storia. E ve l’ho voluta raccontare, a modo mio. Fa niente se la Graham flour me la sono fatta in casa, con un procedimento tutt’altro che ortodosso capace di far svenire persino il buon Sylvester. D’altronde non sono mai stata una purista. Nemmeno quando si tratta di peccati a base di lievito e farina…

Saluti e baci (virtuosi e infarinati),

S.

IL PANE DEL REVERENDO GRAHAM

INGREDIENTI

farina Manitoba: 220 g
farina bianca 00: 200 g
crusca di grano: 80 g
germe di grano: 20 g
sale fino: 1 cucchiaino
malto d’orzo: 1 cucchiaio abbondante
melassa: 1 cucchiaio
lievito di birra: 25 g (un cubetto)
acqua: 200 ml

Fate intiepidire l’acqua, scioglietevi il malto e sbriciolatevi il lievito. Mescolate finché non si sarà sciolto completamente e lasciate riposare in un luogo riparato per 10 minuti.

Nel frattempo mettete in una grande ciotola le due farine, la crusca, il germe di grano e il sale. Se avete una frusta a mano usatela per mescolare il tutto (non c’è niente di meglio per arieggiare le farine, soprattutto se le avete lasciate impacchettate a lungo nella dispensa…). Fate una fossetta al centro.

Aggiungete la melassa al liquido con il lievito, mescolate vigorosamente e poi rovesciatelo nella ciotola delle farine, facendo attenzione a non farlo uscire dalla fossetta. Coprite con qualche cucchiaiata di farina presa dai bordi e lasciate riposare il lievito sotto la coperta di farina per altri 10 minuti.

A questo punto mescolate con un cucchiaio e poi, quando non ce la fate più, passate alle mani. Impastate inizialmente dentro la ciotola e poi sul piano di lavoro: 10 torciture sono più che sufficienti (soprattutto se vi ricordate di sbattere l’impasto con forza sul piano per 4-5 volte a metà lavorazione).

Rimettete l’impasto lavorato dentro la ciotola ben lavata, ungetelo con un cucchiaino d’olio, sigillate con della pellicola e fate riposare finché il volume non raddoppia (ci vorrà un’ora, suppergiù).

Accendete il forno a 220° e rivestite di carta forno uno stampo da pane (o uno da cake, che è solo un po’ più stretto…).

Mettete in forma l’impasto (se siete alle prime armi, leggetevi la nota), infarinate leggermente la superficie, copritela con un pezzo di pellicola (infarinate pure questa, sennò si appiccica e vi viene una pagnotta che pare un porcospino…) senza sigillarla e fate lievitare finché non fuoriesce dai bordi dello stampo di circa due dita.

Infornate il vostro pane e cuocetelo per circa 40 minuti (ma ricordatevi che ogni forno è diverso). Se volete una crosta più croccante, estraetelo dallo stampo e continuate la cottura per altri 10.

Aspettate che si sia raffreddato prima di affettarlo: non troppo sottile, e possibilmente al cospetto di qualcosa di buono – dolce o salato – che gli tenga compagnia.

Del resto, nessun peccato serio si può mai commettere da soli…

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La silhouette di una pagnotta…
… richiede un po’ di applicazione (come quella delle signore, del resto). Allargate delicatamente con le mani l’impasto in un rettangolo (non sognatevi di imbracciare il matterello), ripiegatelo come fosse una lettera (cioè dividetelo idealmente in 3 parti sul lato lungo e ripiegate i due lembi esterni su quello centrale), sigillate bene i bordi e mettetelo nello stampo. Il quale funziona egregiamente da corsetto (cioè “contiene” graziosamente le forme dell’impasto), ma da solo non basta a produrre una pagnotta che regga bene fuori dal forno.

Altri omaggi al revendo Graham
Non ci crederete, ma mi sono ricordata solo a scoppio ritardato che una ricetta di Graham crackers c’era da tempo, in questo blog. Anche in questo caso, nessun utilizzo di Graham flour già pronta, ma un mix di farine in perfetto stile d’Aubergine (vale a dire: “se non puoi superare l’ostacolo, aggiralo”). Poiché, dopo tutto questo leggere cose varie sul suo conto, il caro Sylvester mi pare quasi di conoscerlo, ho la certezza che da dov’è avrà avuto un mancamento a vedere tutte queste farine eterodosse circolare per la mia cucina. Perciò sarebbe molto carino che qualche sbuffo poco virtuoso comparisse anche nelle vostre…
Graham crackers