La vellutata d’aglio

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vellutata d'aglio

Presi il libro, mi allungai sul divano e affondai la testa tra i cuscini di velluto. Sarebbero stati dieci minuti tutti per me, i primi da settimane a quell’ora inusitata. Una pausa d’ozio mentre tutti lavorano è un piccolo lusso, ne ero perfettamente consapevole. Per questo avevo deciso di godermelo appieno: senza traccia di sensi di colpa.

Bisognerebbe sempre diffidare della perfezione, e quella situazione vi si avvicinava pericolosamente: era un Eden domestico da manuale. Se solo non mi fossi lasciata inghiottire da un romanzo, avrei dovuto sospettare che dietro quell’immagine paradisiaca c’era il diabolico inganno dell’apparenza. Perché nessuno può starsene impunemente sdraiato in compagnia di un libro con la pretesa di fermarsi, mentre il mondo continua a girare…

E infatti il mondo decise di ricordarmi che esisteva – e che marciava a tutta velocità – battendo un colpo.

Ad essere precisi fu un boato, seguito dal sussulto dell’intera stanza: compresi l’ignaro divano, il libro tentatore e la colpevole sottoscritta. In quel tumulto di muri e di emozioni pensai che la gru a un isolato di distanza avesse perso l’equilibrio, in uno dei suoi spericolati volteggi, e si fosse abbattuta sul palazzo.
Sbuffi di nerofumo uscivano dal soffitto a cassettone frammisti a minuscoli frammenti. Da sotto il libro mi chiedevo se mi sarebbe crollato addosso pure il tetto. Non accadde: c’è una misura per tutto nella vita, e dieci minuti d’ozio non potevano meritare una punizione biblica.

Ma tant’è, il mio salone pareva uscito da un terremoto e io sembravo uno di quegli adolescenti che si tirano sacchetti di farina per festeggiare la fine della scuola. Sbirciai fuori dalla finestra: la gru era al suo posto, danzava minacciosa e lieve sopra i tetti.

Fu quando mi affacciai sulle scale che li vidi comparire.
Ay ay señora! … Ay ay! …” cantilenavano, agitando le mani ai lati della testa mentre scendevano dal solaio impolverati appena più di me.

Continuarono con i loro “Ay ay!” per quattro piani, quei tre operai peruviani, e fu solo nel segreto della portineria che confessarono: avevano lasciato cadere un pesante macchinario sul pavimento del solaio, che essendo vecchio di qualche secolo è interamente di legno. E che visto da sopra è – per l’appunto – un pavimento, e visto da sotto è invece un soffitto: quello di casa nostra. Questione di prospettive…

La portinaia ascoltò il resoconto con espressione grave. Poi sporse la testa fuori dalla guardiola, alzò gli occhi al cielo e a mani giunte esclamò: “Pooverine!”  (fa così tutte le volte che succede qualcosa in casa mia – spesso, devo ammettere… – e si ostina a chiamarmi al plurale).
“Mi fa la cortesia di avvertire lei l’amministrazione?”
“Ma io gliel’ho ddett’ che lei all’urde deve andare… E comunque, si metta una treccia d’aglio: di-sin-fet-ta!”
“… l’aglio?”
“Eccerto! Questa non è più solo roba di quel fantasma della cantina…”
“Chi Agostino? Ma quello è un fantasma gentile, ormai gli vogliamo pure bene…”
“Signora, lei magari non ci crede ma queste so’ cose serie: stre-ghe! E guardi che non è la prima lei ad avercele in casa: pure al secondo piano ci stanno…” e alzò il mento incrociando le braccia.
“Ah…”

scalogni alloro salvia rosmarino
vellutata d'agliovellutata d'aglio

E’ passato un mese, e né streghe né stregoni Incas si sono appalesati all’orizzonte. Solo due imbianchini soggiornano da tre giorni in casa nostra. Sono di là, armati di silicone e di pennelli per sigillare il soffitto del salone: continuava a sbuffare polvere vecchia di secoli sui miei poveri divani.
Agostino è stato prontamente scagionato: un sopralluogo dei tecnici ha stabilito che nessun fantasma sarebbe in grado di sollevare da solo un macchinario simile. Per certe cose servono almeno tre valorosi andini… Ay ay!

Così a casa nostra sta tornando la quiete, quel ritmo ordinato al quale dovrebbe svolgersi la vita domestica. Che magari non sarà sempre un paradiso, ma nessun dio può volere che sia un inferno quotidiano di accidenti karmici para-edili.
Il nostro amico ectoplasma ha ripreso a scorrazzare per le stanze. Nessuno di noi può onestamente dire di averlo mai incontrato di persona – non sarebbe un fantasma che si rispetti – ma è ormai entrato nel lessico familiare: tutte le volte che non abbiamo voglia di indagare sulle vere cause di un fenomeno diciamo “Sarà stato Agostino…”. Lo so, non è quel che si definisce un approccio scientifico, ma ci serve a non prendercela troppo per certi inconvenienti casalinghi.

Quanto alle streghe, abbiamo deciso che non ci crederemo mai, nemmeno per far gli spiritosi: ci stanno antipatiche, le lasciamo alla signora del secondo piano. Il nobile Agostino non sarà mai sfrattato da una banda di volgari fattucchiere. E anche se non ho appeso trecce d’aglio alle finestre (non potrei mai rinunciare al mio pot pourri preferito…), sono corsa ai ripari a modo mio. Una “disinfettatina”, sotto forma di effluvio proveniente dalla cucina, l’ho data: si chiama vellutata la mia profilassi anti-strega.

La ricetta è di Judy, che è inglese ma vive in Francia: è stata per anni (la ricetta, non la mia amica) un foglietto spiegazzato in fondo al mio archivio-teiera di latta. L’avevo assaggiata da lei, ma non l’avevo mai preparata in casa mia: mi è sembrato che questa fosse l’occasione. Ridevo a più non posso mentre tagliavo tutto quell’aglio. E a voi posso dirlo: stavo nuovamente per cedere all’inganno delle apparenze. Colpa dei pregiudizi.

La verità è che questa vellutata… profuma! Dico sul serio: un profumino delicato, tutt’altro che pungente. Secondo Judy è tutto merito del burro, che a poco a poco addolcisce l’aglio e gli scalogni. Alloro e salvia servono a creare il bouquet – come dice lei – e la patata la rende setosa. Il latte la ammorbidisce, il tuorlo d’uovo la rende cremosa, e il pepe le regala un po’ di twist.

scalogni alloro salvia rosmarinotuorlo d'uovoPentola di rame (by FRAGOLE A MERENDA)

Non c’è bisogno d’altro, se non di una bella fetta di pane scuro, possibilmente tostato, con un po’ di burro salato. E di un bel bicchiere di vino rosso. E di commensali che apprezzino ricette coraggiose. E che non s’impressionino per i fantasmi, né – eventualmente – per delle streghe…

Perché… beh… ecco, ci sarebbe un’altra cosa che ho da dirvi. Questa storia dell’aglio è un altro inganno: non funziona. Almeno in versione vellutata. E per favore non chiedetemi come faccio ad esserne sicura. Mi toccherebbe confessarvi che si è rotto il forno, il telefono è improvvisamente ammutolito, e oggi ho persino bruciato una presina.

Ma, oltre la finestra, il blu cobalto della notte sta sfumando sui tetti in un’alba di luce gelida e rosa: sarà in ogni caso una bellissima mattina…

Saluti e baci (stregati),

S.

LA VELLUTATA D’AGLIO

INGREDIENTI

aglio: 10 spicchi (da una bella testa che non sia d’importazione…)
scalogni: 2 di media grandezza
carote: 1
patate: 1 grande o 2 medie
alloro: 2 o 3 belle foglie (fresche e che profumino)
salvia: 4 o 5 foglie (sempre belle e profumate)
burro: 1 cucchiaio
latte intero: 300-400 ml
granulare vegetale (suvvia, non è una parolaccia…)
uova: 2 freschissime (solo il tuorlo)
pepe nero macinato fresco

Sbucciate l’aglio, sciacquatelo per eliminare anche le pellicine sottili, tagliate gli spicchi a metà e privateli del filamento verde se ce l’hanno. Sbucciate gli scalogni e tagliateli a cubetti.

Mettete una cucchiaiata di burro in una pentola a bordi alti e fatelo andare con l’aglio e gli scalogni, mescolando con un cucchiaio di legno finché non l’hanno assorbito tutto (non fateli colorire: l’aglio bruciacchiato è cattivissimo…).

Nel frattempo pelate le patate e la carota, lavatele e tagliatele rispettivamente a cubetti e a rondelle. Sciacquate le foglie di alloro e di salvia.

Quando l’aglio e gli scalogni avranno assorbito tutto il burro e vedete che rischiano di attaccarsi gettate nella pentola patate, carota, salvia e alloro. Continuate a mescolare di tanto in tanto (avete qualche minutino di autonomia grazie a quel po’ d’acqua che si portano addosso): il segreto di questa zuppa sta nel far rosolare le verdure in pochissimo grasso il più a lungo possibile, senza farle attaccare né scurire, perciò resistete alla tentazione di innaffiarle subito con il liquido.

Quando capite che non avete più alternative, aggiungete 1 litro d’acqua con un po’ di granulare (non esagerate, siete sempre in tempo ad aggiustare il tiro), mettete il coperchio e lasciate sobbollire a fuoco dolce per circa 20 minuti.

Trascorsi i quali, allungate il tutto con il latte e fate cuocere ancora (sempre con il coperchio) per 5 minuti.

Eliminate salvia e alloro, e passate tutto il resto al minipimer finché non diventa una finissima vellutata.

Sgusciate le uova, tenete da parte gli albumi e sbattete i tuorli con una generosa macinata di pepe. Allungateli con qualche cucchiaiata di vellutata (fatelo molto gradatamente, sennò vi ritrovate con dei grumi di frittata…) e poi rovesciateli nella pentola mescolando velocemente (vale quanto detto alla parentesi precedente).

Servite la vellutata con una fetta di pane scuro. Se siete come me, ci spalmerete sopra un po’ di burro salato, e mentre siete lì a farvi ipnotizzare dal quel delizioso profumo rifletterete su come basti davvero poco per sentirsi in pace con il mondo. Anche se piovono calcinacci sulle vostre letture..

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La soupe d’ail…
E’ una ricetta molto francese, piuttosto diffusa in Provenza. Bighellonando in rete ne ho scoperte varie versioni, tutte molto simili, le più famose delle quali sono state diffuse da due americani: Julia Child e Richard Olney (potere della rete?). Nella maggior parte dei casi si utilizza della panna al posto del latte, e credo che in questo caso i tuorli siano superflui, perché immagino che la zuppa debba essere già densa di suo. Judy non ne voleva sapere di metterci un qualche tipo di formaggio, e io ho voluto provarla a modo suo, per il gusto di capire quanto l’aglio fosse pungente. Sappiate che non lo è affatto, ma poiché che il bello della cucina è sperimentare in libertà fate come vi pare.

Aglio: secco ma non vecchio, e da orti garantiti
Diffidate di quello d’oscura provenienza. Dovreste farlo sempre, ma tanto più in un caso del genere. Inoltre non fatevi venire in mente di usare la zuppa per far fuori quell’aglio vecchiotto che giace in fondo al cassetto del frigo. Qui vi serve una bella testa d’aglio con spicchi bianchi e succosi. Tagliateli a metà e se vedete che hanno l’anima verde… strappategliela (il che, detto così, sembra un sortilegio stregonesco, ma funziona).
Piuttosto: grazie ai commenti di Angela e Isa (che ringrazio) mi sono accorta che c’è bisogno di un’ulteriore spiegazione: l’aglio da utilizzare per questa vellutata è quello secco (come quello delle foto, giusto per capirci), che si trova tutto l’anno. Ma fate in modo che non sia vecchio e atrofizzato! Cioè, dovete tagliare gli spicchi a metà e vedere che c’è un po’ di succo che li fa luccicare…
L’aglio fresco è invece quello che si trova solo a inizio estate, con lo stelo verde ancora attaccato: non è necessario per questa ricetta (ma se qualcuno in primavera ci provasse, ce lo faccia sapere).

Accidenti karmici di natura domestica
Ormai mi vergogno persino a raccontarveli, ma dovrei inventarmi un’altra vita per evitare che finiscano nei post. E siccome mi ostino a considerare “Fragole a merenda” come un pezzo della mia cucina vera, dovrei inventarmi pure un altro blog. Perciò, se mi siete amici, siate comprensivi: e per favore spiegate a mia madre che non me le vado a cercare con il lanternino…

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