Questa cucina torna a casa

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Di ritorno dal Salone del Libro di Torino

Ho sfoderato la faccia tosta delle grandi occasioni: del resto ve l’avevo promesso. Mi viene persino bene quando capisco che non c’è altra soluzione, una via di fuga onorevole che mi permetta di assecondare certe mie idiosincrasie. Ma vi assicuro che se non mi fossi concentrata su un certo pensiero, forse stavolta non sarebbe filata tanto liscia.

“Ho sempre detto che gli amici del blog sono dei veri amici – mi ripetevo – e dove ci sono amici c’è un pezzo di casa: perciò se loro ci saranno, io sarò né più né meno che nella mia cucina”. Un sillogismo che non faceva una piega, in teoria. Ma che per funzionare anche in pratica aveva bisogno di voi: e voi c’eravate… eccome.
Certo, mi direte, avrei dovuto saperlo: ho ricevuto mail di incoraggiamento bellissime nei giorni precedenti, e persino una foto scattata a notte fonda, in pigiama, con il mio libro in mano e la didascalia “Noi ci saremo!” (Eva sei adorabile). Era l’una di notte e io stavo infilando nella sacca del mare piccoli pezzi di cucina, un puzzle di utensili e oggetti che mi serviva a sentirmi come quando sono qui: i barattoli di farine, la frusta a mano, il pennello, il coltello della prozia Gaetana (sì, proprio quello tutto storto e mezzo arrugginito con il quale taglio le verdure e smonto anche le mensole della libreria: non c’è stato verso di lasciarlo a casa, si sarebbe offeso). E il mattarello B (quello A, il mio preferito, si era carbonizzato la settimana scorsa), la teglia di latta e le mollette per fissare la carta forno, le ciotole smaltate con il bordo blu, un paio di brioches appena sfornate… e poi la stilografica, naturalmente.

Io, la più grande teorica del bagaglio a mano ultraessenziale, quella capace di partire una settimana con una sacca che ad altre basterebbe appena come beauty case (e sono capace di infilaci persino un abito da sera…), sono uscita di casa con due borse di tela che pareva stessi traslocando. Anzi, mettiamola così: ho proprio traslocato, per un giorno. Ne ho avuto bisogno, almeno quanto ne avessi di avere voi come compagni d’avventura.

L’unico di cui non avessi alcuna necessità era Agostino, ma ho la ragionevole certezza che fosse lì con me. Durante il viaggio, le due brioches sfornate il giorno prima sono finite sotto il bagaglio del mio complice (grande professionista, amico vero, molto divertente e… esuberante!) e non c’è stato verso di farle risollevare: un trionfo di curve vertiginose ridotto a un paio di misere ciabatte.

Ma non è stata la vergogna di esibirle a farmi svanire mezz’ora prima del fatidico momento. E’ stato un caso fortuito, un accadimento che forse si potrebbe interpretare come estremo tentativo di sfuggire ai miei impegni, se non fosse che a condurmi nella direzione opposta al mio destino è stato il mio Editore. Ci siamo persi tra i padiglioni, alla ricerca di un posto nel quale una signora potesse incipriarsi il naso (naturalmente la sottoscritta non usa la cipria, ma ci siamo capiti). Ci siamo persi prima in due, vagando tra fiumane di gente, e poi anche separatamente: vale a dire in tutti i modi possibili… Quando cinque minuti prima dell’orario d’inizio mi sono appalesata, erano tutti trafelati. E allora, per solidarietà, “mi sono trafelata” anch’io (e voi vedete di non raccontare in giro che scrivo certi riflessivi, sennò dove si parla di libri non m’invita più nessuno).

Non c’era tempo di controllare che effetto mi facesse quella specie di protesi che si chiama microfono, ma di certo mi spingeva i capelli davanti agli occhi. Così ho preso una matita, l’ho infilata in una specie di chignon (ok, una sotto-specie…), e sono andata a fare la mia brioche.

Mi tocca ammetterlo: non mi sono sentita in un posto così distante da casa. Nonostante per tutto il tempo abbia cercato gli occhiali che avevo appesi alla t-shirt. E – occhiali a parte – spero sia stato lo stesso anche per voi. Abbiamo scompigliato un po’ le cose, quando siete venuti a darmi una mano (Franca, sei una spennellatrice sopraffina): è stato divertente vedervi rompere le righe! E pare l’abbia trovato interessante anche un tg (alcuni di voi si riconosceranno nel filmato).

La tisaniera di Betulla per SabrineIregali di Irma e Franca per SabrineI cuneesi di Eva per Sabrine

Adesso ho un solo problema: la pasticceria sotto casa. Domenica mattina sono andata a fare colazione, in jeans e maglietta blu.
“Proprio lei cercavo!” mi ha detto il mio barista preferito. “Ma sa che l’ho vista ieri al telegiornale? Facevano un servizio sul Salone del Libro, c’era una tale che ha scritto un libro di cucina che si chiama “Fragole a merenda”… era proprio identica a lei!”
“Si vede che l’autrice mi somiglia…” ho risposto con la faccia tosta delle grandi occasioni (dovreste conoscerla, oramai).
“Eppure ero sicuro, sa?” e continuava a guardarmi come se mi vedesse per la prima volta.
Di domenica alle undici c’è l’intero quartiere a fare colazione. Ho immaginato una tragedia sociale di proporzioni planetarie: l’ingegnere con la coiffure dall’improbabile colore, la portinaia, la signora con il cappello di piume, i ragazzi della mansarda di fronte, la wedding planner, il negozio del cane vegano… tutti nei miei post: tali e quali.
“Ma stamattina non me lo vuole fare questo cappuccino?” gli ho sorriso. Ed era un sorriso che non lasciava scampo.

“Sei stata poco gentile col barista, poveretto…” mi ha rimproverata più tardi a casa mio marito.
“Poveretta sono io se gli dò corda! E poi, guarda cosa mi hanno portato i miei amici: io non voglio rinunciare a questo.”
“Di mensole, di tazze, di fantasmi, di buon cibo e belle parole… Grazie Sabrine!” c’era scritto nel biglietto di Betulla.
“Ma sai che hai ragione? – mi ha detto – Sono persone meravigliose!”

Siete persone meravigliose, e per quell’imprevedibile tocco di magia che la vita a volte riserva, io vi ho incontrato. E la cosa più bella che potevate dirmi me l’avete detta, in tanti: “Sei proprio come ti immaginavo…”
Sorrisi, storie, abbracci, e quei regali fatti con il cuore. Siete stati adorabili, dei veri amici. Ma se vi devo dire: conoscendovi bene, non avevo dubbi…

S.

Di ritorno dal Salone del Libro di Torino: regali

Grazie…
A Betulla, per la tisaniera e lo splendido biglietto, a Irma per le paste di Meliga fatte da lei (aspetto la ricetta!) e per il suo “Fragole a merenda” protetto da una copertina (meraviglioso…), a Franca per il grembiule a pois cucito a mano, a Eva per la foto di mezzanotte in pigiama, i cuneesi (io e Monsieur abbiamo scoperto l’accoppiata con il vino rosso… ah!) e la penna con l’arpa. Grazie a tutti gli amici che sono arrivati apposta a Torino per festeggiarmi, e a Roberta che non si aspettava di trovarmi e io non mi aspettavo di trovare (in prima fila). Grazie alle mamme con i bambini (educatissimi) che hanno retto tre quarti d’ora di storie e impasti senza annoiarsi, ai signori che accompagnavano le mogli, e alle mogli che avevano lasciato a casa i mariti. Grazie a chi non mi conosceva affatto e si è fermato, ha sorriso delle mie piroette da pasticciera e si è portato a casa il libro. Grazie a tutti quelli che mi hanno chiesto una dedica su “Fragole a merenda”, e hanno pazientemente atteso in fila (anche più di un’ora!) per averla e per potermi salutare. Ho fatto il possibile per non sottrarvi nemmeno un istante del mio tempo finché ero lì, perciò scusatemi se vi ho accolto con una matita dimenticata tra i capelli. Del resto, è quasi sempre così che sto in cucina…