I panini all’uvetta per Isa

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I panini all'uvetta per Isa

Non saremmo lontani dalla meta se non fosse per una serie di piccoli incidenti di percorso. Dispetti di folletti, mica tragedie… ma sufficienti a farmi rizzare i capelli in testa un giorno sì e l’altro no. L’ultimo, in ordine di tempo, è una fuga di monossido in un bagno: nessuno riesce a capire da dove provenga e perciò noi sfidiamo le intemperie vivendo con una finestra del corridoio sempre aperta. Sono arrivati idraulici, fuochisti, elettricisti, spazzacamini: abbiamo collezionato un campionario di fantasiose teorie, ma il mistero permane.

La portinaia, che saluta tutti con sussiegosi cenni della mano da oltre il vetro, quando mi vede la mattina non mi dice più nemmeno buongiorno. “Non mi dica che le serve ancora il parcheggio in cortile per gli operai!?!” urla mettendo fuori la testa dalla guardiola. E mentre io allargo mesta le braccia, lei alza gli occhi al cielo e a mani giunte sospira: “Poooverine!…”

Solo l’altro giorno me la sono trovata davanti tutta intera, braccia incrociate e sguardo pensoso: incorniciata dallo stipite con lo stemma sopra, pareva uno di quei ritratti d’antenati appesi lungo lo scalone di fronte.
“Scusi signora… ma le volevo dire una cosa… sa, a proposito di quella puzza che si sente in casa sua…”
“Hanno finalmente scoperto cos’è?” ho chiesto speranzosa.
“No, loro no… – e si è guardata attorno sospettosa – Ma mio marito sì!”
C’era la nebbia fitta, ma per me è stato come se fosse arrivata all’improvviso primavera: vedevo il sole e sentivo cantare gli uccelli… finalmente niente più folate di gelo in corridoio.

Poi mi si è avvicinata e ha abbassato la voce. “Lo sa che prima quell’odore era nella sua cantina?”
“Davvero? Ma allora c’è una canna fumaria rotta che da lì arriva all’ultimo piano…”
“No, no… Si ricorda che la sua cantina l’abbiamo chiusa a forza perché era tutta piena? Beh… da quel giorno la puzza non c’è più!”

In effetti la nostra porzione di cantina – un locale che pare una cripta di templari – è stipata all’inverosimile: non ci starebbe uno spillo. Ma io stentavo a cogliere il nesso tra i due fatti.
“Mio marito s’è ricordato che lo zio del proprietario del secondo piano diceva che c’era… insomma: sarebbe un fantasma!” e ha allargato le braccia.
Il sole si è offuscato all’improvviso, gli uccelli hanno smesso di cantare: e pensando alle folate gelide nel mio corridoio sono rabbrividita. Lei se n’è accorta, e deve aver pensato di avere esagerato.
“Però non è cattivo, eh!… Fa solo quell’odore… che dev’essere quello che sente lei” e ha sorriso rassicurante. “E si vede che adesso non può più stare in cantina, perché lei gliel’ha riempita di cose sue, e allora è venuto in casa!”

E’ raro che io rimanga senza parole, o che l’ironia mi difetti. Ma l’idea di continuare ad avere una stanza ridotta a una ghiacciaia mi ha gelato i pensieri nella testa.
“Signora, veda lei se ci vuole credere a questa storia…”
“Glielo farò sapere. Comunque grazie! E lasci pure il parcheggio per gli operai anche domani…”
Mi è bastato un cappuccino per riportare le meningi alla temperatura consueta. E quando a sera sono rincasata, avevo già preso la mia decisione: ci avrei creduto a quella storia. Era troppo divertente.

Così convivo da tre giorni con un fantasma: costretto, dopo chissà quanti secoli trascorsi nelle cantine, a trasferirsi in casa mia per sopraggiunta mancanza di spazio vitale. Gli ho dato pure un nome: si chiama Agostino (anzi: A-ghost-ino). E un ruolo: fungere da spiegazione ultima per tutti quei piccoli incidenti sulle cui cause non mi interessa indagare. E’ molto utile, perfino tranquillizzante rinunciare alla razionalità in alcune occasioni. Per esempio, mi sono convinta che non ha senso ostinarsi a pretendere che tutto funzioni, se c’è un fantasma per casa che rema contro. Meglio arrendersi a un ménage ricco di imperfezioni e cercare di trovare un equilibrio comunque.

Così, dopo settimane di astinenza da lieviti e farine, ho finalmente deciso di riaccendere il forno per qualcosa che non fosse solo un divertissement da spuntino scapigliato. E anche se effluvi di acqua ragia e un lieve sentore di monossido aleggiano tuttora, mi ci sono messa d’impegno per ribadire ad Agostino che esistono dei limiti: anche ai diritti dei fantasmi esiliati. E io non gli permetterò di metter piede nella mia cucina. Dove ho ricominciato da quello che per me è il divertimento più grande: fare il pane. Non è un pane a caso, quello di oggi. Perché una ricetta di panini con l’uvetta me l’aveva chiesta da tempo una delle lettrici più appassionate di questo blog: una che non manca mai un appuntamento, che se prova una ricetta me lo fa sapere, che se non scrivo per un po’ mi viene a cercare… Perciò questi sono i miei panini per Isa. E per tutti voi, che nonostante questa lunga, lenta ripresa post-trasloco siete ancora qui.

Quanto a me, da quando è arrivato Agostino sono diventata un po’ più saggia. Capisco bene che credere a un fantasma possa sembrare una strampalataggine (e infatti non lo racconto mica a tutti), ma sto sperimentando che il confine tra la saggezza e la follia è davvero labile… Così labile che non ho alcuna intenzione di arrendermi al monossido, addossando tutte le responsabilità a uno spettro esiliato.

Perciò, nell’attesa che quell’interminabile processione di operai che da giorni si affaccendano sul tetto conduca alla scoperta dell’origine delle esalazioni, sto meditando di attrezzarmi con mezzi autonomi per scongiurare l’irreparabile: mi comprerò un canarino, come i minatori. Perché sarebbe una fine indecorosa per una foodblogger passare a miglior vita per dei volgari gas di scarico di una canna fumaria. Almeno, almeno – che so – i fumi di un’anatra carbonizzata in forno…

Saluti e baci (fuligginosi),

S.

I PANINI ALL’UVETTA PER ISA

INGREDIENTI

farina Manitoba: 300 gr
farina bianca 00: 250 gr
latte intero: 250 ml
acqua: 150 ml (circa)
uva sultanina: 100 gr
noci: 50 gr
burro: 30 gr
miele: 2 cucchiai
malto d’orzo: 1 cucchiaio
uova: 1 (solo il tuorlo, per spennellare)
lievito di birra: 25 gr (un cubetto)
sale: un pizzico

Mettete a bagno l’uvetta in una tazza d’acqua tiepida.

Spezzettate le noci con le mani (non fatelo col coltello, perché si sbriciolano).

Tagliate il burro a cubetti e lasciatelo a temperatura ambiente.

Scaldate il latte, e scioglietevi il miele e il malto. Quando sarà tiepido, aggiungete il lievito sbriciolato e mescolate velocemente finché non si è completamente dissolto. Lasciate riposare un quarto d’ora, finché non si forma una schiuma compatta (tenete presente che il volume raddoppierà quasi, per cui regolatevi con il recipiente…).

Miscelate le farine e il sale in una grande ciotola, fate un buco in mezzo e rovesciatevi il liquido con il lievito, sbattendo con forza con un cucchiaio con movimenti ampi (dovete cercare di catturare più aria possibile…). Aggiungete gradatamente l’acqua, senza smettere di sbattere e incorporando tutta la farina: dovete ottenere un impasto molto morbido e un po’ appiccicoso (ma non è detto che l’acqua vi serva tutta… dipende da quanto è asciutta la vostra farina).

Rovesciate il composto sul piano da lavoro e lavoratelo per 10 minuti con la tecnica che io chiamo “alla francese” e che uso per gli impasti molto morbidi. Cioè sollevatelo con due mani e fatelo sventolare davanti al vostro naso come se doveste scrollare una tovaglia, sbattetelo con forza sul piano e ripiegatelo su sé stesso verso l’esterno, poi giratelo di 90° e ripetete l’operazione… almeno un centinaio di volte! (ulteriori spiegazioni a fondo pagina)

Quando sarete a tre quarti del lavoro aggiungete l’uvetta sgocciolata e le noci. Dovete farlo un po’ alla volta (… diciamo in tre tempi), perciò allargate l’impasto in un rettangolo, distribuitevi un po’ di uvetta e richiudetelo su sè stesso riprendendo a lavorarlo come prima: non aggiungetene altra finché la precedente non è ben distribuita nel composto. Un’avvertenza: “sventolate” con minor forza la vostra “tovaglia”, se non volete raccogliere uvetta e noci in giro per la cucina…

Quando l’impasto sarà ben elastico e omogeneo mettetelo in una ciotola pulita, ungetelo in superficie con un cucchiaino d’olio e sigillate con della pellicola. Lasciatelo lievitare in un luogo riparato finché non sarà almeno raddoppiato di volume (ci vorranno un’ora e mezza, due a seconda della temperatura dell’ambiente).

Quando sarà pronto, accendete il forno a 220°. Poi rovesciatelo delicatamente sul piano di lavoro e ricavatene delle palline di 5 cm di diametro (non schiacciate l’impasto mentre le formate, ma accarezzatele appena con le mani), che metterete su una teglia per biscotti rivestita di carta forno, distanziate tra loro.

Fate lievitare per circa 20 minuti a teglia scoperta ma al riparo da correnti d’aria. Spennellateli delicatamente i panini con il tuorlo (molto diluito con il latte, sennò l’uovo forma una crosta dura che impedisce una buona lievitazione) e poi infornateli per 7-10 minuti. Non perdeteli di vista: ogni forno ha i suoi tempi, così come ogni casa ha i suoi fantasmi… Comunque, vale sempre la regola del “cuoceteli finchè non li vedete ben gonfi e appena dorati”. Devono essere morbidissimi dentro e con una leggera crosticina fragrante…

Fateli raffreddare su una gratella da pasticciere e se non li mangiate tutti surgelateli.

POSTILLE

Lavorazione a mano di impasti morbidi
E’ molto più facile a farsi che a dirsi, In ogni caso, ad uso e beneficio di increduli e titubanti, vi ricordo – non senza una generosa dose di vergogna – che c’è anche una mia interpretazione del suddetto movimento, in questo blog: se siete disposti a sorvolare sulla qualità artistica del filmato in nome della qualità organolettica del vostro pane, andate in fondo a questa pagina e preparatevi alla visione della sottoscritta avvinghiata a un impasto… siate discreti, grazie. Inoltre:
1. sappiate che per esigenze di scena l’impasto del filmato è molto più sodo di quel che dovrà essere il vostro
2. il composto vi sembrerà quasi impossibile da lavorare all’inizio, ma non perdetevi d’animo: continuate a fare il movimento, raccogliete ogni tanto quello che vi rimane sulle mani o in giro per il piano di lavoro e vedrete che andando avanti diventerà più elastico e starà assieme a perfezione.

C’è una seconda Isa…
Solo dopo aver scritto il post mi sono resa conto che c’è un’altra Isa, appassionata di pane fatto in casa, alla quale mi piacerebbe dedicare questi panini. E’ una signora deliziosa e di rara vivacità, che vive oltre la piazza sulla quale apro le mie finestre ogni tanto.
Da lei ricevo inviti a cena e a sessioni di cucina tradizionale che mi piacciono da morire. Oltre ad arance e limoni del suo giardino, frasche varie per i miei addobbi natalizi, stufe elettriche in prestito in caso di bizze dell’impianto di riscaldamento, brodi vegetali in barattolo per solitarie cene light