Cronaca di un trasloco

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“Poverine!…” esclama la portinaia alzando gli occhi al cielo ogni volta che passo di fronte alla guardiola. Non ho ancora ben capito se quel plurale sia frutto del dialetto o di un’illusione ottica: le sfreccio davanti correndo così tante volte al giorno che magari pensa che io abbia una gemella…

A un mese dal trasloco vagheggio torte di mele, pani fragranti appena usciti dal forno, biscotti con farine integrali le più varie, e dolci al cioccolato di quelli capaci di far capitolare un asceta. Ho detto “vagheggio”… e non a caso: perché i soli profumi che aleggiano per l’aere domestico sono vernici, smalti, cera d’api e trementina. In sintesi: una tempesta di effluvi da abbattere anche un’inguaribile ottimista come me.

Quel magazzino di scatoloni che mi sto sforzando di trasformare in una casa pullula ancora di operai: si danno convegno a giorni alterni, possibilmente tutti assieme in modo da pestarsi i piedi a vicenda. Se ne vanno a sera lasciando una “scena del crimine” che farebbe la gioia dei carabinieri del RIS: impronte di scarpe, ditate, e pure qualche cicca di sigaretta.

L’impianto elettrico ha fatto le bizze, i pavimenti si sono ribellati al posatore e la cucina ha ancora bisogno del falegname, che continua a tornare.
“Signora, ma i suoi muri sono tutti storti! E io le cucine in genere le faccio dritte…”
“Abbia pazienza: le vecchie case vanno assecondate… non c’è altro modo di venirne capo” gli rispondo, chinandomi con lui a ricontrollare le misure.
Da quando ho saputo che è un fantastico ballerino di liscio gli perdono anche qualche svista: me lo immagino che volteggia, con la pancia in dentro e le scarpe di coppale, e non riesco ad arrabbiarmi… è proprio vero che ognuno ha un lato B pronto a sorprendere.

Viviamo così, senza cucina: ci siamo fatti adottare da una meravigliosa trattoria due vie più in là, dove approdiamo a tarda sera come naufraghi fiutando l’aria per indovinare il menù del giorno. Le nostre stoviglie sono ancora imballate, così come i libri (ventiquattro scatoloni) e tutta la biancheria, ad esclusione di quei tre cambi a testa che sono oramai una sorta di divisa.

Perché l’appartamento è ben più grande di quello precedente, ma le scale del palazzo no: così la nostra amata libreria e l’armadio (che poi sarebbe una vecchia libreria pure lui…) giacciono ancora nel magazzino della ditta di traslochi. Non c’è stato verso di farli entrare, né dalle scale né dalle finestre: la via è troppo stretta e settimane di sopralluoghi e misurazioni non hanno risolto il problema. L’ultimo che è venuto ha persino preso in considerazione di calarli dal tetto, ma l’idea di finire in cronaca locale per aver fatto cascare una libreria di quattro metri e mezzo dal quarto piano mi ha costretta alla resa. L’ho presa come un segno del destino: lei, che di chilometri all’attivo ne ha già qualche migliaio avendo passato più di una frontiera, era evidentemente stufa dell’aria di città. E adesso si merita una pensione all’altezza dei servigi resi: finirà i suoi anni ad altri seicento chilometri da qui, al sole e al vento, carica di altri libri. Ma prima dovrà passare il mare.

Nell’attesa di una sostituta più giovane – che pare ci metterà due mesi ad arrivare – gli scatoloni di libri vagano da una stanza all’altra, formando torrioni a geometria variabile.
E con i libri vagano per questa nuova vecchia casa i miei pensieri, quasi sempre assorti, talvolta un po’ svagati: perché capita che fatichi a trovare le energie per far fronte a tutto questo.
Allora mi lascio incantare dalla luce, che entra a ogni ora del giorno regalando tonalità sorprendenti a queste stanze ancora mezzo vuote.
“Non ho ancora una cucina, un armadio, una libreria: ma vogliamo mettere la luce?” mi dico. E mi ritrovo a sorridere…
Passerà ancora un po’ di tempo prima che possa tornare a dedicarmi a questo blog, che ormai rappresenta per me il punto di arrivo di una normalità che vorrei ritrovare quanto prima. Ma che ci posso fare se questa casa ha misure, ritmi e spazi tutti suoi? Posso solo assecondarla, come ripeto al falegname…

E adesso scusatemi ma suonano alla porta: dev’essere lui. Mi ha già detto emozionato che oggi ha poco tempo perché stasera ha una gara di liscio. Non vorrei che stesse già volteggiando e tra i suoi passi dai riflessi di coppale si perdessero le misure della mia nuova libreria…